martedì 29 maggio 2012

VOHABOLARIO FIORENTINO

PRIMA PARTE : A-F

VOHABOLARIO

del Vernaholo Fiorentino e del DialettoToscano
di ieri e di oggi
2ª Edizione corretta e ampliata: Agosto 2008
© 2008, Stefano Rosi Galli Si autorizza e si consiglia l’ampia diffusione GRATUITA e l’abbondante lettura
Rigorosamente vietata la vendita
Ricerca, redazione e impaginazione: STEFANO ROSI GALLI “S” Ricercatore attivo su’ i’ campo: MATTEO PATERNÒ “MATT
1ª Edizione: Maggio 2008 2ª Edizione corretta e ampliata: Agosto 2008
Questo gl’è i’-nnostro indirizzo: vohabolario@yahoo.es
Grazie di tutto còre a: Mamme, Babbi, Nonne, Nonni, Zie, Zii, Cugine, Cugini e tutti gli altri parenti!
E in particolare a: FABIO MENCHETTI, ILARIA ANDREUCCI, NICOLE MRUSEK; SILVIA CACIOLI “SIVY”; CARIL MINIATI “CARILLINA”; STEFANO PRÀTOLA “RICO”; ROBERTO DI FERDINANDO; LORENZO ROSI GALLI “MONSTERE SABRINA MASOTTI; VALENTINA STINCHETTI; GABRIELLE GIRAUDEAU; WLADIMIRO BORCHI; DIDE; CAMILLO ESPOSITO “CAMI”; FEDERICO MEI “I’-FFÉDE”; MARIO TISTARELLI; LUCIA DE SIERVO; ALI; LUCIA.

Rieccoci! E ci risemo. Oh, a di’ i’-vvero, ‘un ci se lo immagina’a miha nemmeno noi di risentissi così presto! Anzi, ‘un ci s’era neanche figurato. Perché? Perché questo “Voha” gl’era nato come un gioho tra amici e nessuno si crede’a che finisse invece pe’ andà in giro pe’ mezza Europa (soprattutto Germania e Svizzera), comparire su un quotidiano nella pagina curturale (“Il Corriere della Sera”) e èsse’ presenti in un monte di blog. I’-ttutto in meno d’un mese! E allora, come si fa in questi casi, s’urla contenti: “Maiala! Spettaholo!”. Avé’ visto che gl’è piaciuto tanto è stata una sorpresa tanto inattesa come meravigliosa. E allora, come s’è scritto anche nei vari forum (si compare sempre co’ i’ nome di “Quelli del Voha”), GRAZIE A TUTTI!! E s’approfitta l’occasione anche pe’ rihordavvi che vu­cci pote’e scrivere all’indirizzo che vi s’è da’o a pagina 2, pe’ dacci suggerimenti, idee o mandare parole e modi di dire che ancora ‘un ci sono. Noi vi si dice solo che s’è bell’e messo già via um-bel po’ di parole pe’ la prossima edizione... Ma torniamo a’ i’ presente. Icché s’è fatto in questa sehonda edizione: prima di tutto s’è corretto tutte le sviste e gli errori -eh se n’era fatti umpo’ e via- che c’erano. Ma icché vu volete, gl’era una bischerata tra di noi. Come s’è detto prima, ‘un si crede’a miha che vullo leggessi in tanti, sennò e ci si sta’a umpò’ più attenti. Poi s’è aggiunto un monte di artre entrate, quasi dugento tra vohaboli, modi di dire e proverbi. E anche quarche foto. Siccome, poi, la cultura di un popolo la si rihonosce anche da icché mangia, s’è creduto di­ffare una bòna ‘osa a mettere la ricetta della famosa “Ribollita” fiorentina. La ce l’ha da’a la zia di uno di noi e vi s’assihura che l’è quella vera, originale e tramanda’a da una generazione al artra. Prova’ela e poi vu-cci di’e. S’è anche rimesso mano alle vite de’ Personaggi Storici Fiorentini, riscrivendo completamente, ma in modo sintetiho, senza sta’ a dilungassi troppo, sennò diventa uggioso, tutto quello che quei grand’omini feciano pe’ la storia sia di Firenze (guardate, presempio, la Famiglia de’ Medici, giusto pe’ dinne una), sia pe’ l’umanità (Leonardo, Galileo, Dante... Oh, tutta roba nostrana!). E s’è fatto perché c’è sembrato che di questi tempi, già da un bel po’ a di’ i’-vvero, ‘unn-è che a giro ci siano dei grandi esempi a cui ispirassi, da prendere a esempio. Anzi, a’ i’ contrario, ci sembra che ci sia parecchia muffa stantia, robuccia. E allora, icché ci pote’a èsse’ di meglio che andà’ a ripescà’ ni-nnostro glorioso passato! Poi, visto che ci siamo, si coglie l’occasione anche pe’ ringraziare tutti quelli che volontariamente collaborano a www.wikipedia.org; e tra i tanti autori vernacoli, Renzo Raddi (“A Firenze si parla così” - Polistampa / Samus) e Giuseppe Giusti (“Raccolta di proverbi toscani” - Edikronos). Si vòr rihordare anche che il “Voha” è protetto da diritti d’autore (e si dice perché c’hanno già prova’o a copiacci e a vendilo!) e che quindi si può passare agli amici ma ‘un si po’ vendere pe’ facci i’-bbusco personale. ‘Nzómma, pe’ falla breve, si spera d’avé’ fatto cosa gratita e nella speranza che sia così, vi salutiamo tutti con un bell’abbraccio e un pensiero del nostro grande Lorenzo il Magnifico: “Quant’è bella giovinezza, / che si fugge tuttavia! / Chi vuol essere lieto, sia: / di doman’ non c’è certezza” [“Canzona di Bacco” in “Canti Carnacialeschi”].


Introduzione alla 1ª edizione (Maggio 2008)
Ci siamo divertiti a riunire in questo Vohabolario che avete tra le mani, tutte le parole e i modi di dire che ci sono venuti a mente del nostro vernaholo. Tutto è iniziato come un gioco, uno scambio di e-mail durante il lavoro, per allietare i momenti difficili che tutti conosciamo. Al principio, erano solo un par di fogli. Poi piano piano ha cominciato a crescere, fino a quando non ci siamo accorti che avevamo collezionato una bella quantità di termini. Allora ci siamo messi di buzzo bono per far si che diventasse qualcosa che fosse piacevole leggere in famiglia o con gli amici, affinché condividessero con noi le gioie del nostro modo di parlare.
Sì, s’è scritto “Vo-h-abolario”, con l’H perché noi in Toscana la “C” la ‘un si pronuncia miha, la s’aspira, ci s’ha la Gorgia. E allora come si fa a scrivilla se poi la ‘un c’è? Per questo la s’è cambia’a con l’H, come in Vernaholo. Quande poi una parola l’inizia’a co’ i’ “C”, la s’è tòrta proprio e a i’ su’ posto s’è messo l’apostrofo. Perché quande l’è tra du’ vohali all’inizio della parola, più che aspiralla, la si mangia proprio. Presèmpio: La Casa. O ‘unnè meglio allora scrive’: La ‘asa? Ah, s’è anche scritto ‘ose a questa maniera: “i’-ppane”, perché quella “P” e l’è doppia quande la si pronuncia. Eppoi ce ne sono anche artre ancora ma i’-rresto vi si racconta ne “La Grammatiha”. Andate a leggilli lì tutti i dettagli.
Ci s’è messo tre mesi per raccogliere novecento entrate (quasi cinquecento termini e un po’ di più di quattrocento tra modi di dire e proverbi) e nonostante ciò, chissà quante altre ce ne saranno lì a giro! S’è dedicato un po’ di pagine anche ai nostri antenati: i nostri personaggi storici, che son’ davvero tanti, e grazie anche ai quali Firenze e la Toscana son’ quel che sono.
E pe’ concludere, si vòle ringrazià’ un monte di gente: prima di tutto, tutti quelli che hanno creato un proprio blog nella rete e hanno dedicato una o varie sezioni al vernaholo fiorentino o al dialetto toscano. Siete stati tutti dei ganzi e vu siete stati anche di grande aiuto nei momenti bigi. Un grazie di còre anche agli autori vernacoli di canzoni e poesie. Grazie anche a chi, prima di noi, s’era preoccupato di riunire in preziosi libri i nostri proverbi e modi di dire. Grazie ai grammatici! Meno male che tante cose le ave’ano già scritte loro perché vi si giura che se la fonetica, quella co’ i’ “C”, l’è difficile, quella del Vernaholo, la fonetiha, la ti fa’ impazzà’! Poi, ovviamente, si ringrazia le nostre famiglie e gli amici: le fucine della nostra ispirazione. Icché si sarebbe potuto fare noi senza ripensare a tutto quello che ci dicevano mamme, babbi, nonne, nonni, zie, zii, cugine e cugini!





Abbreviazioni e Simboli
Tranquilli, ‘un c’è d’ampazzà’. Se n’è usate po’he, eppoi le si spiegano.
ABBREVIAZIONI
Ved.: Vedere. Sta pe’ “va’ a leggere anche icché c’è scritto alla parola tra virgolette”, che gl’è i’-ssu’ sinonimo, ossia vòr dire la stessa ‘osa.
Cfr.: Confronta. Questo gl’è compagno a quello che s’è detto sopra, però con la differenza che qui i termini si assomigliano ma ‘un son’ sinonimi. Quande si dice: “Quasi uguali”.
Lett.: Questo gl’è facile, Letteralmente.
Avv.: E anche questo, Avverbio
SIMBOLI
Doppia vohale: Questa ce la siamo inventata noi pe’ cercare di riprodurre i’-ssòno che c’ha la frase, o la parola, in bocca a un toscano, che non solo si mangia la “c” ma che strasciha pure le vohali, moltiplihandone la durata. Praticamente, quande in una parola c’è una doppia vohale, a’ lèggila, s’allunga i’-ssóno più di-nnormale.

A

ABBADARE: Fare attenzione. “Abbadaci tu caschi!”, Stai attento che cadi!
ABBÓCCANO: …i pesci. È come dire: “Guarda l’asino che vola”. S’apostrofa qualcuno con questo verbo, quando gli si fa uno scherzo evidente e la persona in questione ci crede come un bambino.
ABBOLLORE: Di qualcosa estremamente caldo. “La minestra l’è abbollore!”, La minestra è molto calda. Ved. “Bollore”.
ABBÓZZALA: Espressione che invita a mutare atteggiamento o comportamento. “Abbozzala di urlare!”, Smettila di urlare. “Oh che l’abbozzi?”, La vuoi smettere?
ACCHIAPPINO: 1) Molletta per stendere il bucato ad asciugare, in legno o plastica. 2) Giuoco fanciullesco consistente in una gara a rincorrersi senza farsi prendere.
ACCICCIÀSSI: Farsi male. “Eh tu-tti-sè’ acciccia’o di nulla”, Mi sembra che tu ti sia fatto molto male.
ACCINCIGNARE: Strizzare e appallottolare un pezzo di carta o un tessuto rendendolo pieno di grinze. “Codesta camicia l’è tutta accincigna’a, va’ a càmbiattela”, Quella camicia è piena di grinze, vai a cambiartela. Ved. “Rincincignare”.
ACCOMODARE: Riparare, aggiustare. “Che lo sa’ accomodare?”, Lo sai riparare da solo?
ADAGIATO: Persona calma, tranquilla, che impiega molto tempo a fare qualcosa. “Oh come gl’è adagiato”,
Accidenti quanto tempo gli ci vuole per fare qualcosa.
AFFRITTELLARE: Affrittellare è un verbo che si usa in particolare per l’ovo fritto. In fiorentino si dice: “ovo affrittellato”. In verità, il termine lo si potrebbe usare per qualsiasi cosa che venga fritta, ma è una vera particolarità che questo verbo del vernacolo venga utilizzato prevalentemente per l’ovo. “S’affrittella un ovino?”, Ci facciamo un uovo fritto?
AGGEGGIARE: Essere in continuo movimento, tramenare, compicciare, rimettere insieme, fare qualcosa in modo poco ordinato. “Icché t’aggeggi”, Che cosa stai compicciando? Ved. “Tramenare”.
AGGEGGIO: Un oggetto qualsiasi. Ved. “Coso” e “Trespolo”
AGHETTI: I lacci delle scarpe. “T’ha’ gl’aghetti lunghi. E tù-tte-li pesti”, I lacci delle tue scarpe sono troppo lunghi; finirai per pestarteli.
AIMMÉNO: Per lo meno. “Aimméno ti fosse tocca’o quarcheccosa...”, Se per lo meno ti fosse toccato qualcosa... “Aimméno umpiovesse...”, Se per lo meno non piovesse...
ALLAMPANA’O: Persona magrissima. “Gl’è secco allampana’o”, È veramente molto secco. Ved. “Ciuccia’o dalle streghe” e “Secco rifini’o”.
AMBIZIOSA/O: Aggettivo usato come sinonimo di “mantenersi, prendersi cura di sé stessi”. Per esempio, una persona di una certa età che ancora ci tiene a vestirsi bene quando esce di casa, a tenersi, dice: “Ancora sono ambiziosa”, Ancora ci tengo a presentarmi bene.
AMBROGETTA: Mattonella di terraglia a smalto per il rivestimento di pareti. Anche, e forse, soprattutto, usato per indicare le mattonelle del pavimento. Anche Lambrogetta (Ved.) dove si è verificato il fenomeno dell’unione dell’articolo al sostantivo, creando così un nuovo vocabolo. Ved. “Lastuccio”
AMBURGA: Hamburger. “O’ Nanni, che la vòi l’amburga pe’ pranzo?”, Tesoro, ti andrebbe di mangiare un hamburger per pranzo? Ved. “Svizzera”.
ANDARE/IRE: Presente Indicativo: Io vo; Imperfetto: Io andeo/andiedi; Te t’andei; Lui gl’andea; Noi s’andea; Voi vu’ andei; Loro gl’andeano. Passato remoto: Io andiedi, Tu andesti, Lui gl’andette; Noi s’andette/s’andiede, Voi v’andaste/vu andaste; Loro gl’andettero/Loro gl’andonno/Loro andierono. Futuro: Io anderò, Te tu anderai, Lui l’anderà, Noi anderemo, Voi vu anderete, Loro anderanno. Participio passato: Ito.
ANNO: Usato come avverbio invece di l’anno scorso. “Anno, fece un freddo birbone”, L’anno scorso fece molto freddo. “Ricordiamoci di ‘un fa’ come anno”, Ricordiamoci di non fare come l’anno scorso.
APPUNTALÀPISSE: Temperamatite. “Passami l’appuntalapisse.”, Passami il temperamatite.
APPUNTASSI: Segnarsi a qualcosa. “Che ti sè’ appunta’o a’ i’-ccorso in pescina?”, Ti sei segnato al corso in piscina?
ARADIO: Radio, radiolina. Il nuovo sostantivo nasce dall’unione e successivo troncamento dell’articolo sing. femm. “la”.
ARREGGERE: Reggere, tenere. “Arreggiti bene alla fune”, Tieniti ben stretto alla fune.
ARRÈGOLA: A quanto pare. “Arrègola l’a’e’a ragion’ lui”, A quanto pare aveva proprio ragione lui.
ARRIVARE: Utilizzato al posto di Prendere. “Che me l’arri’i te che tu sè’ arto?”, Me lo prenderesti te che sei alto. “Arrivami i’ quaderno”, Prendimi il quaderno.
ÀTAFFE: Per A.T.A.F.: Aspettare Tanto Alla Fermata invece di Azienda Trasporti Area Fiorentina. “Quelli dell’Àtaffe e fanno sempre sciopero, Governo ladro!”, Quelli dell’azienda trasporti sono sempre in sciopero, accidenti!
ATTACCA’O: Un po’ pissero ma soprattutto tirchio. Ved. “Pidocchioso”. AVELLARE: Non resistere dal cattivo odore. “Madonna che scorreggia t’ha’ sgancia’o, s’avella!”, Accidenti, che peto hai fatto, non si resiste dal puzzo! Da avello: tomba. AVELLO: Tremendo puzzo. In italiano, tomba, sepolcro. “Maiala ch’avèllo c’è qui. ‘Un si regge, si va via di
‘apo!”, Accidenti che tremendo puzzo che si sente qui. Difficile resistere. AVERE: Presente Indicativo: Io c’ho, Te tu c’hai, Lui c’ha, Lei la c’ha, Noi ci s’ha; Voi vu c’avete, Loro e c’hanno. AVVEZZARE: Abituare. “Gl’è avvézzo a fumare”, È abituato a fumare. “Tu-ll’avvézzi male”, Lo stai
abituando male. È diffusa anche la pronuncia con la -è- aperta, ma più nel pratese. AVVILISSI: Nel vernaholo fiorentino si continua ad utilizzare questo verbo invece del più attuale essere tristi. “Che sè’ avvilito?”, Che succede, sei triste? AZZANELLA: Parte della carreggiata esterna all’asfaltatura, spesso dissestata.
B

BABBALÈO: Babbeo, grullo, stupido. “Va’ ‘ia, va’ ‘ia babbalèo”, Smettila di fare lo stupido.
BABBO: Sempre usato invece di papà (che ‘un s’usa miha mai perché ci fa un po’ schifo). “I’ mi’ babbo”, Il mio babbo. La forma contratta è “pàe”. “To pàe”, Tuo padre, Il tuo babbo. Ved. “Pàe”
BACIAPILE: Ci si riferisce alle pile dell’acqua santa che sono nelle chiese. Quindi, per estensione persona casa-e-chiesa ma con un doppio senso negativo di chi apparentemente sembra una cosa ma sotto sotto è tutta un’altra. “E gl’è un baciapile di nulla”, È una persona che va sempre in chiesa. Ved. “Bacchettone/a”
BACIÀSCA: Contenitore non bene identificato. Quando in casa un tubo perde, ci si mette sotto una
baciàsca. Ved. “Zàgola”.
BACCELLO: Fava. “Far merenda con baccelli e pecorino”, Fare merenda con le fave e il pecorino.
BACCHETTONE/A: Le persone casa-e-chiesa. Ved. “Baciapile”
BACCHIÒLO: Bastone molto lungo. “E gl’ha un bacchiolo di nulla. Se te lo da in capo e t’apre”, Ha un
bastone molto lungo. Se ti picchia con quello, ti fa veramente male. Ovviamente, per estensione, e maliziosi come siamo, si usa anche per descrivere abbondanti attributi maschili.
BADA: Guarda. “Bada lìe che casino!”, Guarda che confusione! Ved. “Bada ‘ome”
BADAMILUI / BADAMILEI: Guarda quello/a, sempre in senso ironico e irrispettoso. “Badalei come la viene combina’a”, Guarda lei come si è sistemata per uscire.
BADARE: 1) Tenere d’occhio, osservare. “Badami i’ bambino che vo a’ i’ lìcitte!”, Per favore, guardami un momento il bambino che vado in bagno. 2) Fare attenzione. “Bada che tù-lle pigli”, Attento che ne buschi.
BAGÓRDI: Fare baldoria, ubriacarsi. “E s’è da’o ai bagordi”, È andato a fare baldoria.
BAHATO: Cariato, di dente, oppure Bahata, la mela. “T’hai i’-ddente bahato”, Hai un dente cariato. “Codesta mela l’è bahata, mangiala te”, La mela che hai preso è bacata, mangiala pure te.
BARROCCIO: Carretto da trasporto merci trainato da cavalli. Cfr. “Calesse”
BARROCCINO: Carretto che circolava per le strade di Firenze vendendo differenti articoli. Per esempio, esisteva il barroccino del cenciaiolo, che vendeva tele e stracci; il barroccino del gelataio, che ovviamente vendeva i gelati; e così via.
BECCARE: 1) Riuscire nell’intento. “L’ho becca’o”, L’ho preso. 2) Ammalassi, prendere una malattia. “Ho becca’o l’influenza”, Ho preso l’influenza. 3) Essere sorpresi in fragrante. “T’ho becca’o”, Ti ho scoperto. 4) Sinonimo di imbroccare e cuccare. “Che n’hai becca’a nessuna te?”, Hai fatto colpo su nessuno?
BECCASSI: 1) Vedersi, incontrarsi. “Ci si becca”, Ci si vede. “Indó’ ci si becca?”, Dove ci si incontra?
BECCHETTASSI: Litigare, discutere. “Guarda que’ due ‘ome si becchettano”, Guarda quei due come litigano.
BÉCERO: Persona rozza, volgare nei modi ma soprattutto nel parlare. “E gl’è un bécero di nulla”, È proprio una persona rozza.
BELLIHO: Ombellico. “Tùllo pò’ tené’ te. Icché me ne fo io? Mi ci gratto i’-bbelliho”, Lo puoi tenere senza problemi, a me non serve. Non saprei cosa farmene.
BELLINO: 1) Guarda bellino, nell’espressione “guarda che bello”. Si dice, per esempio, a un bimbo piccolo mostrandogli un balocco o un oggetto per farlo stare buono. Dove “Bellino” si riferisce all’oggetto, non al bimbo, come potrebbe interpretare un non toscano. 2) Preceduto dall’esclamazione “Oh” nell’intonazione “Oh bellinoo...”, viene detto a qualcuno che ci sta veramente stancando con il suo atteggiamento o i suoi discorsi.
BELLOCCIO: Bello, diminutivo affettuoso, del tutto privo del senso un po’ dispregiativo di bellezza grossolana, che si ha fuori della Toscana. “Oh come gl’è belloccio i’-ssù’ figliolo”, Suo figlio è proprio bello. Cfr. “Discreto”
BIANCONE: La fontana del dio Nettuno o “di-Bbiancone”, come l’hanno ribattezzato i fiorentini, in Piazza della Signoria, fu voluta da Cosimo I de’ Medici, e progettata da Baccio Bandinelli. La vasca, che fu costruita tra il 1560 e il 1575, vede al centro la gigantesca statua scolpita da Bartolomeo Ammannati (Firenze 1511­1592). Le statue di bronzo che decorano la fontana (Satiri, Tritoni e Nereidi), sono opera del Giambologna (pseudonimo di Jean de Boulogne, Douai 1529 - Firenze 1608).
BIASCICARE: Masticare a bocca aperta producendo un rumore fastidioso. “Oh icché tu biascihi”, Potresti masticare con la bocca chiusa. Ved. “Sbiascicare”.
BIRBONE: Tremendo. “Tu-ssè’ propio un birbone”, Sei proprio tremendo. “Oggi fa un freddo birbone”, Oggi fa un freddo tremendo.
BISCHERATA: L’azione compiuta o la cosa pensata da un bischero. Infatti, significa che si è fatto un qualcosa senza pensarci troppo su e il risultato è stato chiaramente fallimentare, come del resto sarebbe stato lecito attendersi se solo ci avessimo pensato un poco prima d’agire.
BÌSCHERO: Persona poco acculturata e poco furba che assume atteggiamenti chiaramente poco convenevoli e poco convenienti. L’origine di questo termine non è chiaro, anche se l’ambiente è chiaramente quello Toscano, da Firenze fino alla maremma. Per qualcuno deriva dall’organo genitale maschile, per altri dal cognome d’una antica famiglia fiorentina celebre per gli investimenti finanziari sbagliati, per altri ancora dalla chiave che regola gli strumenti a corda. E per finire, abbiamo anche il bischero di palude, che è quell’arbusto che cresce sulle sponde delle paludi o dei fossi d’acqua ferma e che avendo il peso sulla sua estremità, è sempre in continuo ondeggiamento, per cui ogni piccola ventata lo muove, come il bischero che si lascia convincere dal primo venuto, senza valutare “con la zucca” sulle spalle. Quindi, anche se usato in maniera scherzosa e abbastanza colloquiale, significa stupidotto, sempliciotto, quando non significhi qualcosa di peggio. Dipende dal tono di voce che viene usato e, ovviamente, dal contesto in cui viene detto.
BISCOTTO DELLA SALUTE: Fetta biscottata. Il nome probabilmente deriva dal fatto che all’ospedale, quando siamo ricoverati, vengono date le fette biscottate per fare colazione e le vecchine credono, appunto, che sia un super biscotto.
BOCCALONE/A: Chiaccherone, che mette bocca da per tutto. “Che boccalona! La pensasse un pohino pe’ ‘azzi sua!” Che tremenda pettegola! Non si fa mai gli affari suoi.
BOCCARE: Cadere in avanti. Usato nel modo di dire: “Manca poho bocco”, C’è mancato poco che cadessi.
BÒCCIA: Bottiglia. “Bere a boccia”, Bere a bottiglia.
BOCCIARE: Nell’ambito scolastico, non essere promosso all’anno successivo. “T’hanno boccia’o”, Non sei stato promosso. Ved. “Segare”.
BOCIARE: Alzare molto la voce, urlare. “Oh icché tu boci, ‘un son’ miha sorda!!”, Non importa che tu urli così forte, non sono sorda. Ved. “Vociare”.
BOLLORE: Quando fa molto caldo. “L’è un bollore oggi”, Oggi fa veramente molto caldo. Ved. “Abbollore”.
BOLOGNA: Mortadella. “Ci sa a fa’ un bel panino con la bologna?”, Perché non ci facciamo un bel panino con la mortadella?
BÒNA: Formula di saluto, prima di andarsene. Abbreviazione di buonasera, buonanotte, ecc... “Bòna raga’”,
Ciao ragazzi.
BÓNGO: Dolce Profiterole. In alcune province viene ribattezzato familiarmente “Palle di ciuho”.
BORRACCINA: Muschio. “Sta’ attento, tu sci’oli! L’è pieno di borraccina”, Fai molta attenzione a non scivolare, è pieno di muschio bagnato.
BÒTOLO: Espressione brutale e indelicata per indicare un uomo o una donna di piccola statura e tendente all’obesità. Nell’estremo della cattiveria si dice anche “Botolo di merda”, quando qualcuno è veramente troppo grasso.
BOTTEGA: 1) Negozio. “Vo a bottega”, Vado al negozio. 2) La cerniera dei pantaloni. “T’hai la bottega aperta”, Chiudi la cerniera dei pantaloni.
BRAHARE: Impicciarsi degli affari altrui sia figuratamente che in concreto. Per esempio, rovistando affannosamente nella borsa di una donna: “Oh icché tu-bbra’hi?”, La smetti di curiosare? Ved. “Ciacciare”.
BRAHONE: Colui che compie l’azione di brahare. Curiosone, impiccione. Ved. “Ciaccione”.
BRINDELLONE: 1) Il carro trainato dai buoi che viene portato davanti al Duomo per Pasqua. Lo Scoppio del Carro è una antichissima manifestazione popolare fiorentina che risale addirittura ai tempi della prima crociata. Siamo nel 1097 e Goffredo di Buglione, Duca della bassa Lorena, parte a capo dei crociati per riconquistare Gerusalemme agli infedeli. Dopo un veloce assedio, il 15 luglio del 1099 riuscirono a espugnare la città, e si narra che il fiorentino Pazzino de’ Pazzi fu il primo a salire sulle mura e che per questo gesto di valore Goffredo gli donò tre schegge del Santo Sepolcro che Pazzino riportò poi a Firenze. Liberata Gerusalemme, il Sabato Santo i crociati si radunarono nella Chiesa della Resurrezione e consegnarono a tutti il fuoco benedetto come simbolo di purificazione. Ed è proprio a questa cerimonia che risale l’usanza pasquale di distribuire il fuoco santo al popolo fiorentino, perché il fuoco santo veniva acceso proprio con le scintille sprigionate dallo sfregamento delle schegge di pietra del Santo Sepolcro. Dopo il ritorno di Pazzino a Firenze (16 luglio 1101), ogni Sabato Santo, i giovani delle famiglie si recavano nella Cattedrale di Santa Reparata (a quei tempi non c’era ancora il Duomo, che inizió a costruirsi nel 1229) dove accendevano una fecellina (piccola torcia) al fuoco benedetto per poi andare in processione per le strade della città e portare la fiamma purificatrice in ogni focolare domestico. Con il tempo la festa divenne più elaborata e s’introdusse l’uso di trasportare il fuoco santo con un carro dove, su un tripode, ardevano dei carboni infuocati. Non si sa quando si sostituì il tripode con i fuochi artificiali ma si ritiene che il cambio risalga alla fine del trecento. La famiglia de’ Pazzi, che era l’incaricata dell’organizzazione del carro e di sostenere l’onere delle relative spese, perse tale privilegio nel 1478 quando la Repubblica la cacciò dalla città in seguito della famosa congiura ordita contro i Medici. La Signoria ordinò che non si celebrasse più tale festa e che si mantenesse solo la distribuzione al popolo del fuoco benedetto, cerimonia che doveva avvenire dove anche attualmente scoppia il carro, fra il Battistero e la Cattedrale. Ai fiorentini però non piacque per niente l’abolizione della spettacolare festa e cercarono con tutti i mezzi la revoca della proibizione, fino a quando non la ottennero e la Signoria ordinò ai Consoli dell’Arte Maggiore di Calimala, amministratori del Battistero di San Giovanni, di provvedere ai festeggiamenti così come si faceva prima della congiura. Nel 1494 si verificò poi il rovescio della medaglia: a causa delle prediche del domenicano Girolamo Savonarola, la città mandò i Medici in esilio e restituì alla famiglia de’ Pazzi i suoi antichi diritti e privilegi, compreso quello dell’organizzazione del carro del Sabato Santo. Il carro inizialmente molto più piccolo e semplice dell’attuale, subiva molti danni a causa delle deflagrazioni e doveva ogni volta essere restaurato completamente e fu allora che i Pazzi decisero di allestirne uno molto più resistente e massiccio, l’attuale “Brindellone”, come lo chiamiamo affettuosamente a Firenze. Il giorno di Pasqua, si attaccano al Brindellone due paia di bianchi e infiocchettai bovi e il carro viene portato dal piazzale di Porta a Prato a piazza Duomo sotto la scorta di centocinquanta armati, musici e sbandieratori del calcio storico fiorentino. Staccati i bovi, si tende un filo di ferro, che sostituisce la corda sugnata di un tempo, a sette metri d’altezza, dal carro al coro dentro la chiesa. La festa inizia alle undici quando, al canto del “Gloria in excelsis Deo”, dal tabernacolo dei Santi Apostoli si accende, con il fuoco santo, la “colombina”, un razzo dalle sembianze di una colomba bianca, simbolo di purezza, come il fuoco, e pace che raggiunge il carro e attizza i fuochi artificiali. A questo punto la colombina dovrà tornare indietro e solo se compie il percorso senza bloccarsi, si potrà trarre un buon presagio per il futuro raccolto nei campi. La cronaca racconta che l’ultima volta che la colombina non compì con successo il percorso fu nel 1966, l’anno dell’alluvione! Lo spettacolo pirotecnico, che dura una ventina di minuti, e simbolicamente distribuisce su tutta la città il fuoco benedetto, avvolge l’imponente mole del carro con nubi bianche e dense mentre assordanti scoppi si ripetono uno sull’altro. Le scintille sono così tante da sembrare una vera pioggia di colori: dal viola al rosso, passando per il verde, il rosa, il bianco e il blu, fino a quando il profilo del Brindellone non scompare del tutto ingoiato in questo caleidoscopico gioco di colori. 2) Scherzoso, giovanottone non aitante né ben messo, normalmente alto, in sovrappeso e sgraziato. Neanche troppo brillante intellettualmente.

BRUCIATA: Caldarrosta. “Ci si scarda con i’-vvino e le bruciate”, Ci scaldiamo con il vino e le caldarroste.
BRU-GINSI: Pantaloni blue-jeans. “Che me l’ha’ stira’i i bru-ginsi?”, Hai stirato i miei blue-jeans?
BRUHAPELO: Amichevole per lesbica.
BRUSOTTO: Giubbotto. “Mettiti i’-bbrusotto peso che fòra fa un freddo s’aggranchia”, Mettiti il giubbotto pesante che fuori fa un freddo tremendo.
BUBARE: Mormorare senza sosta parole di malumore e disapprovazione nei confronti di qualcuno o
qualcosa che però non viene specificato. “Oh icché tu bubi? - Eh! Lo so io pe’ icché bubo!”, Che cosa
stai mormorando? Lo so io per che cosa mormoro.
BÙCCOLE: Gli orecchini. “C’ha visto che buccole la s’è messa? – Uhuuu, brutte!”, Hai visto che orecchini si è messa? – Davvero brutti!
BUHAIÒLA: Stronza o maiala.
BUHAIÒLO: 1) Antico negoziante delle “buche”, i negozi del mercato di San Lorenzo che erano (e alcuni lo sono tutt’ora) posti al di sotto del livello stradale, di fatto... in “buca”. All’ora di pranzo passavano i carri con le vivande e chiamavano a raccolta i negozianti al grido di: “Buhaioli... c’è le paste!”. 2) Un’altra versione riporta che il modo di dire è invece riferito ai bucaioli, cioè gli stradini che andavano con la ghiaia a riempire le buche per strada che stavano sotto il Torrino di Santa Rosa. 3) Bastarbo. “Noo, buhaiolo!”, Noo, bastardo!
BUHARE: Pungere, urticare. “La s’è bucata con gli spini”, Si è punta con le spine.
BUHO: Omosessuale. Nella versione spregiativa, “buho fradicio”. E nel chiarimento del dubbio: “Se tu-
ssè’ buho, dillo!”, come nel mitico film “Il Ciclone“ (1996) del Pieraccioni. BULLETTA: Chiodo. “Piglia martello e bullette”, Prendi martello e chiodi. BULONE: Bullone. “Ci ‘òle um-bulone più grosso”, Abbiamo bisogno di un bullone di maggior diametro. BUSCANNE: Prendere le botte. “N’ha buscate di santa ragione”, Ha preso proprio tante botte. BUZZA: La pancia. “E l’ha una buzza di nulla”, Ha messo su una bella pancia.
Ved. “Buzziha” BÙZZIHA: Pancetta tirando a pancione. “Secca? E l’ha una buzziha di pe’ i’ ridere! La la nasconde. La si mette
‘ose scure”, Secca? Ha una bella pancetta, non credere! La nasconde mettendosi cose scure. Ved. “Buzza” BUZZONE: Pancione. “Eh gl’è diventa’o um-buzzone di nulla”, Mamma mia è ingrassato davvero tanto.
C

C’È: Utilizzato sempre, anche nel caso di plurale. “C’è quelli di-ggasse”, Ci sono gli operai del gas.
CACIO: Formaggio. “Passami i’-ccacio”, Passami il formaggio.
CAHARE: Considerare, prestare attenzione. “Cahami un momento”, Considerami un momento. “‘Ùm-mi
haha nemmeno di striscio”, Non mi prende in considerazione nemmeno lontanamente. CALOSCE: Stivaletti di gomma. “Mettiti le ‘alosce sennò tu-tti mòlli e piedi”, Mettiti gli stivali di gomma,
altrimenti ti bagni i piedi. Ved. “Galosce” e “Sciantillì”
CALZONI: Pantaloni. Spesso pronunciato “Carzoni”.
CAMPO: Normalmente usato invece del sinonimo orto, “Gl’è ni campo a pianta’ i pomodori”, È nell’orto
a piantare pomodori.
CANINO: Cagnolino, cane piccino. Cfr. “Canóne”
CANNA: Spinello, sigaretta con hashish o marihuana.
CANNOTTIERA: Canottiera. In fiorentino, rigorosa la doppia nasale “-nn-”.
CANÓNE: Cagnone, cane grande. Cfr. “Canino”
CANTILENA: In Italiano vuol dire: semplice composizione letteraria o musicale ma in Fiorentino si utilizza normalmente per prendere in giro: “O’ come la parla, l’ha una ‘antilena di nulla”, per indicare che chi parla ha intona la frase in un modo molto poco gradevole; quasi fosse più una lagna. A volte si dice anche di certe bambine: “La sarà anche bellina ma l’ha ‘na ‘antilenaa e par che la pianga!”, È molto carina ma parla in uno modo molto sgradevole.
CANTONA’A: 1) Sbaglio eclatante, tremendo abbaglio. 2) L’angolo esterno di un edificio all’incontro di due strade.
CARCAGNO: Tallone, parte posteriore del piede, variante di “Calcagno”.
CARCINCULO: La giostra della fiera formata da seggiolini metallici sospesi mediante catene, che ruota su sé stessa. Il nome viene dal fatto che è necessario un calcio in culo da chi ti sta dietro affinché tu possa raggiungere il pallone, posto a un’altezza rilevante, dal quale ciondola una corda, che è quello che bisogna afferrare per poter vincere un altro giro gratuito sulla giostra.
CARROTA: Carota.
CASCARE: Usato a preferenza del sinonimo cadere. “Icché gl’è cascato?”, Per caso è caduto?
CATAFARCO: In italiano è una sorta di palco, adornato di drappi neri, eretto nel mezzo della chiesa per sostenere la bara. Ma in fiorentino viene detto anche di qualsiasi altra cosa che ne ricordi anche vagamente la somiglianza. Ovviamente a uso dispettivo. “Madonna che macchina che s’è compra’o. E gl’è un catafarco di nulla”, Hai visto che macchina brutta si è comprato? Sembra un carro funebre!
CAZZEGGIARE: Espressione  volgare e comunissima per dire passare il tempo senza fare niente, senza fare un cazzo. “Invece di studiare ho cazzeggiato tutto il pomeriggio”, Invece di studiare, non ho fatto niente per tutto il pomeriggio.
CECCOTOCCAMI: Persona che fa dispetti per farseli rifare. Tipicamente riservato ai bambini. “Gl’ha fatto propio bene a renditele, te tu se’ ‘ome ceccotoccami!”, Ha fatto proprio bene a rendertele, non fai altro che stuzzicarlo. Dalla tipica frase “Cecco, toccami che la mamma ‘un vede!”.
CEGLIÒ: Lett. Ce li ho. Contrazione e modificazione fonetica tipica dell’alto valdarno (Pontassieve e zone limitrofe). È la risposta che normalmente si da’ alla domanda “Cegliài?”, Ce li hai? Ved. “Cigliòle”
CIGLIÒLE: Lett. Gli ci vuole?, ne ha bisogno, gli serve; sempre per l’uso al singolare. Tipico della zona dell’alto valdarno (Pontassieve e zone limitrofe). Per il plurale, invece, esiste la forma “Ciglieneòle”, Quanti li ce ne vuole?, “Quanti bottoni cigliòle? Ciglieneòle minimo dugento o trecento”, Quanti bottoni gli servono? Gliene servono almeno duecento o trecento. Ved. “Cegliò”
CENCINO: Straccio per spolverare. “C’ha’ miha un cencino che vole’o pulì’ i’-rripiano in camera mia”, Per caso hai uno straccio per spolverare? Vorrei pulire la mensola in camera mia.
CENCIAIOLI: Persone che passavano per le case per raccogliere i “cenci”, gli stracci. Dopo averli lavati e rammendati, li rivendevano al mercato.
CENCIO: 1) Straccio per pulire il pavimento 2) Dolce tipico fiorentino fatto di pasta tirata fino a raggiungere un sottigliezza incredibile, fritto e poi spolverato con lo zucchero a velo. Buonissimi!
CHETARE: Zittire, stare zitto, non parlare, “Oh che ti ‘heti..”, Ci vuoi stare zitto!
CHIORBA: Testa. “Che chiorba dura che t’hai!”, Hai la testa veramente dura.
CHIORBONE: Persona testona sia fisicamente sia come sinonimo di testardaggine.
CISLÒNGHE: Sedia a sdraio, dal francese “chaise-longue”. Ved. “Gislonghe” e “Cislonga”
CIABATTONE: Persona dall’aspetto trasandato che non ha voglia di fare niente. Ved. “Grattamuri”
CIACCIONE: Persona che s’intromette, che fruga nei posti e nelle cose che non gli appartengono.
CIANA/E: Una ciana è sia un pettegolezzo sia la persona chiacchierona. “L’è una ciana”, È un pettegolezzo / È una pettegola. Dipende dal contesto in cui si dice. Quando il termine incarna una persona, rappresenta una figura tipicamente toscana: quella della donna boccalona, chiacchierona, che prima di venire a sapere una cosa, l’ha già spifferata. Che quando racconta aumenta, accresce il volume e gonfia l’effetto. E lo fa usando parole volgari e espressioni triviali. Non parla, urla e con urla risponde a tutti. Non sa nemmeno che esista l’educazione; neanche sospetta che esiste una cosa chiamata rispetto. Con il sussurro di qualcuno ha già montato una storia fondata su elementi certi. Anche gli abiti e lo stile che adotta sono caratteristici: sciatta, ciabattona, non amante dell’acqua e con un gommino per capelli con dentro annodata mezza capigliatura che le ferma, dietro la nuca, le due ciocche che cadono delle tempie. Prima a Firenze, questo tipo di donna veniva chiamata “la ciana di San Frediano”, il celebre quartiere popolare della città, circondato da mala fama per anni. Il soprannome, dal quale deriva poi anche il verbo cianare (Ved.), è il diminutivo di Luciana, personaggio del melodramma “Madama Ciana” di A. Valle (1738). Divulgato poi da G. B. Zannoni negli scherzi comici intitolati “Le ciane di Firenze”.
CIANARE: Spettegolare. “Le stanno tutt’ i’-ggiorno sull’uscio della bottega a cianare di ‘hi passa”, Stanno tutto il giorno sulla porta del negozio spettegolando su chi passa di lì.
CIANCE: Chiacchiere vane, pettegolezzi. “Sta’ bòno, e le son’ ciance. ‘Un-tt’arrabbiare”, Stai tranquillo, sono solo chiacchere. Non ti arrabbiare.
CIACCIARE: Impicciarsi degli affari altrui, rovistare affannosamente. “E gl’è un ciaccione di pe’ i’ ridere”, È veramente un ficcanaso tremendo. Ved. “Brahare”.
CIACCIHONE: Colui che compie l’azione di ciacciare. Impiccione, curiosone. Ved. “Brahone”.
CIANCIHARE: Tocchicchiare. “Icché tùllo cianci’hi tutto?”, Perché lo stai toccando insistentemente?
CIANTELLA: Ciabatta, scarpa vecchia e sdrucita utilizzata come ciabatta. Indica anche i piedi particolarmente grandi: “T’hai delle ciantelle di nulla”, Hai i piedi proprio molto grandi.
CIHALA: 1) Organo sessuale femminile 2) Ragazza piacente. Ved. “Passera”. 3) L’insetto attaccato agli alberi,
soprattutto a’ pini, che d’estate ci fa sapere co’ i’ suo tipiho sòno, che fòri si schianta da’ i’-ccardo ‘he fa.
CICCA: Sigaretta. Mentre nel resto d’Italia è la gomma da masticare CICCHINO: Sigaretta.
CICCIA: Carne. “Mangia la ciccia”, Mangia la carne. L’espressione “Ciccia” o “L’è ciccia”, indica che bisogna
arrangiarci con quello che c’è, che non c’è modo di fare differentemente. “Si prova a aspettare e sennó ciccia, se ne fa a meno”.
CIFRA: Moltissimo. “Mi piace una cifra”, Mi piace moltissimo.
CIGNA: Forzatura per “cintura”. Ved. “Cinta” e “Cintola”
CIGNALE: Forzatura per “cinghiale”.
CIGNAHA: 1) Colpo inferto con una cigna (cinghia, cintura). 2) Un forte colpo inferto o ricevuto. “Ha battu’o una cigna’a di per i’-rridere”, Ha battuto un colpo molto forte. “Icché fa un cigno ‘he ‘asca dall’ottavo piano? Batte ‘na cigna’aa!”
CINCI: Pene. “Icché gl’è quello nonno? - Eh, eh e gl’è i’-ccinci di-ccavallo!”, Nonno, che cos’è quello? Eh, è il pisello del cavallo!
CINCINNINO: 1) Una piccolissima parte di qualsiasi cosa (di solito riferito a cose da mangiare, ma non solo), “Metticene un’altro cincinnino (di colla, di colore e così via)”, Metticene appena un altro po’. 2) Un po’: “Fallo un cincinnin’ più lungo, vai, quest’orlo!”, Allunga quest’orlo di qualche altro millimetro. Ved. “Zinzinnino”
CINGOMMA: Gomma da masticare, dall’inglese “chewing gum”. Ved. “Ciringomma”
CINTA: Forzatura per “cintura”. Ved. “Cigna” e “Cintola”
CÌNTOLA: Forzatura per “cintura”. Ved. “Cigna” e “Cinta”
CIÒTOLA: Il piatto dove bevono gli animali. In italiano indica il Piatto Fondo. Ved. “Scodella”
CIRINGOMMA: Gomma da masticare, dall’inglese “chewing gum”. Ved. “Cingomma”
CIRUSCO: Miope. “E ‘ùn-ti vede, gl’è cirusco”, Non ti può vedere, è miope.
CITRULLO: Bischero. Si usa spesso anche “rincitrullito” o “rincoglionito”. “Và-ia, Và-ia... citrullo!”.
Ved. “Bischero” e “Grullaia”
CIULARE: Rubare. “Ho ciulato le gomme a’ i’ barre”, Ho rubato queste gomme al bar.
COCCIÒLA: Gonfiore irritante prodotto dal contatto con l’ortica o da una puntura d’insetto.
CÒCCOLI: Pasta fritta. “Dammi un po’ di ‘occoli”.
COHOMERO: Anguria. “O’ come gl’è bòno i’-ccohomero d’estate!”, L’anguria in estate è veramente apprezzata.
CODESTO: Per indicare qualcosa vicino a chi ascolta. Si utilizza solo in Toscana.
COHO: Cuoco. “Indó’ gl’è i’-ccoho?”, Dov’è il cuoco? Poi c’è anche i’ sottohoho...
COGLIÓMBERO: Come dire coglione ma in un modo meno volgare.
COLLASSARE: 1) Persona che per abuso di alcol cade e rimane immobile per terra, “Gl’è collassato”.
2) Andare a letto per riposare dopo aver passato la notte senza dormire. “Vo un po’ a collassa’ a letto”, Vado a riposare un po’ sul letto. COLTELLA: Coltello da cucina.
Ved. “Cuttella” e “Cortella” CÓMPA: Forma abbreviata per compagnia. “I raga’ della cómpa’ ‘un vengono”, I ragazzi della compagnia non vengono. COMPANATIHO: Quello che si mangia con il pane.
CONCIASSI: 1) Combinarsi. Usato per descrivere l’abbigliamento stravagante di qualcuno, “O’ come tù­tti sè’ concia’o!!”, Come ti sei combinato? 2) Insudiciarsi, ridursi in condizione pietose, per descrivere lo stato di sporcizia in cui uno si può trovare, “O’ come tù-tti sè’ concia’o!? – E son’ casca’o pe’ terra...”,
Ma come ti sei ridotto? – Sono caduto per terra...
CONIGLIOLO: Coniglio. “Icché c’è da desinare? - Conìgliolo con gli iustis”, Che cosa c’è da mangiare? Coniglio con i wüstel. Ved. “Iustis”
CÒPPE: Coop, catena di supermercati. “Si va a’i’ Coppe a fa’ la spesa”, Andiamo alla Coop a fare la spesa.
CORTE: Cortile.
CÒSO: Riferito a una persona o oggetto che non si conosce o che si vuole sminuire o del quale non si ricorda il nome proprio. “Passami codesto coso..”. Ved. “Aggeggio” e “Trespolo”
CÒTTO: 1) Essere cotto, essere stanco, essere in botta. “Gl’è cotto”, “E son’ cotto”. 2) In fiorentino, sinonimo di perso, andato, svampito… tutte maniere per indicare lo stato poco attento, per non direquasi completamente assente, della persona alla quale ci si riferisce. È importante precisare che lo stato di confusione deve essere stato provocato da abuso di alcol o/e droghe. “O’ ‘otto, macché ci sei co’ i’ capo?”, Ehi tu, perso, capisci quello che ti dico? Ved. “Svampi’o” e “‘Un torna miha più”
CRISSARE: Quando s’incanta lo sguardo e si rimuggina. Pensare, fissando nel vuoto. Usato nel pratese.
CROSTINO: 1) Culinariamente indica la fettina di pane tostata spalmata ricoperta di ingredienti vari, che si serve di solito come antipasto: c. di fegatini di pollo, c. di tartufi, c. al formaggio. 2) Persona noiosa e pedante.

D
DAMO/A: Fidanzato/a. Molto usato a Sesto Fiorentino e Quinto Alto e Basso. “Che l’ha’ tro’ato i’-ddamo?”,
L’hai già trovato il findanzato? DAVVERO: Veramente, proprio così, già. “Che dici davvero o scherzi?”, Dici veramente o stai scherzando? DEGENERO: Confusione eccessiva. Ved. “Macello” DESINARE: Il pasto principale della giornata, di solito a mezzogiorno. “Dopo desinare”, Dopo pranzo. DESTASSI: Svegliarsi, “A che ora tu-tt’-hai da destà’ domani?” A che ora ti devi svegliare domani? DESTO: Sveglio. “Che dormi o tu se’ desto?”, Dormi o sei sveglio? DIÀCCIATI: Calmati, freddati, tranquillizzati. “Oh che ti diacci un po’hino”, Vuoi stare un po’ tranquillo… DIACCIO: Ghiaccio. DIACERE: Dormire. “Va’ a diacere”, Vai a letto. DIANZI: Poco fa. “Son’ uscito dianzi. Ora ‘un risòrto”, Sono uscito poco fa. Adesso non esco di nuovo. DINANZI / DINNANZI: Davanti. “Indò’ le son’ le ‘hiave? - O che s’è orbo! L’ènno dinanzi a te!”, Dove
sono le chiavi? - Sei diventato cieco? Sono davanti a te!
DINDI: Soldi, usato per lo più dai bambini.
DIÒSPERO: Pomo, caco. “O’ come son’ dórci ‘sti diòsperi!”, Questi cachi sono buonissimi.
DIRE: Cong. Pres. Loro dihino. Es.: “Se dihino i’-vvero, ‘un si sa!”, Non sappiamo se stanno dicendo la verità.
DISCRETO/A: Veramente bello/a, con presenza. “Eh gl’è discreto di nulla”, È veramente molto bello.
DITI: Plurale di dito, invece di dita. I Diti in realtà sono un tipo di paste ripiene di crema, cioccolata o panna.
“Togliti i diti da’ i’ naso”, Non ti mettere le dita nel naso. DÓDDO: Persona stupida e un po’ lenta, leggermente ritardata. DÒMO: Duomo nell’espressione “vaffandòmo!”, modo non volgare per “vaffanculo”.
E
ÉLLERA: Pianta dell’edera. “L’amore è come l’éllera / dove s’attacca mòre / così così il mio còre / mi si è attaccato a te...” [da gli Stornelli mugellani della tradizione toscana]
ÈNNO: Sono. Sostituizione della 3ª persona plurale del presente indicativo dell’ausiliare “Essere”. Esempi: “Ènno stanchi”, Sono stanchi. “Ènno briahi”, Sono briachi. “Ènno iti”, Sono andati.
EMPIRE: Riempire. “Émpi i’-ssecchio”, Riempi il secchio.
ERESIE: Sinonimo di bestemmie. “Non dire eresie!”, Non bestemmiare.
ESSERE: Presente Indicativo: Io sono; Te tu sei; Lui gl’è; Noi s’è/ Noi semo; Voi vu’ siete; Loro gl’ènno. Passato remoto: Tu fosti, Loro funno.
EURI: Familiarmente, al plurale al posto del singolare. “Che ce gli hai gli euri pe’ andà’? Sennò tu-ffà’ ‘ome me, tu sta’ a casa”, Ce li hai i soldi per andare? Altrimenti farai come me, rimani a casa.
F
FARE: Presente Indicativo: Io fo; Passato Remoto: Loro féciano.
FARFALLONE: Essere un donnaiolo in senso spregiativo.
FAVA: 1) Organo genitale maschile. 2) Lo si può usare per sostituire “bischero”. “Tu sei proprio una fava!”,
Sei proprio un stupido.
FETTUNTA: Fetta di pane abbrustolita, strofinata con l’aglio e poi cosparsa d’olio nuovo e sale. “S’ha a fa’ una fettunta?”.
FIACCO: Stanco. “E son’ fiacco”, Non ho fiato. Ved. “Stracco”
FIASCO: Contenitore in vetro di forma panciuta e rivestito di paglia (impagliatura) con un cerchio alla base perfarlo restare in piedi. È un tipico contenitore toscano che non viene pressocché utilizzato in nessun altra parte d’Italia né del mondo. Di norma contiene vini toscani ed in particolare Chianti. L’infiascatura del vino avveniva quando l’acquisto di cospicue quantità per la famiglia dovevano essere riversate dalla damigiana, altro contenitore caratteristico, in contenitori più piccoli ed adatti alla tavola. Bottiglie o appunto, fiaschi.
FIGURATI: Ma guarda! Ma pensa un po’! Esprime meraviglia, stupore, ammirazione, comunque con una connotazione positiva, “Ieri a casa mia l’è caduto un metro di neve - figurati!”.
FIHATTOLA: Pasta di pane fritta con forma di ciabatta. Ved. “Zonzella”
FIHOLESSO: Persona poco sveglia, poco attenta, un po’ persa, distratta che si lascia sfuggire un’occasione. “Perché ‘un tull’ha’ presa? Ma tu-ssarai un fiholesso.”, Perché non l’hai presa? Sei stato poco svelto, non hai avuto i riflessi pronti.
FIHOSO: Di persona che non gli va bene niente. “Gnamo, non fare i fi’oso, mangia”, Su, via non fare tante storie e mangia.
FOGATO: Interessato, supercoinvolto. “Tu se’ foga’o pe’ quella musica”, Quella musica ti coinvolge davvero tanto.
FOHO: Fuoco.
FÒRA: Fuori. “Indo l’è la zia? L’è fora”, Dov’è la zia? È fuori.
FORASTIERO: Straniero; ma si possono chiamare così anche quelli che non sono di Firenze.
FORCAIOLO: Ragazzo che abitualmente non va a scuola senza che il permesso dei genitori. ...e va a Boboli! Ved. “Fa’ forca”


FORMÌHOLA: Formica.
FOTTIO: Praticamente senza fine. “Ce n’era un fottio!”, Ce n’erano tantissimi! Ved. “Iosa”.
FRAZIO: Puzzo, mal odore.
FREGASSENE: “Chi se ne frega!”, Chi se ne importa! “Me ne frego!”, Non me ne potrebbe importare di meno. Ved. “Sbàttissene”
FRIGNONE: Bambino che piange facilmente per qualsiasi cosa. “Via, su, ‘un-ffà’ i’ frignone”, Dai, smettila di piangere.
FRINZELLO: Capo d’abbigliamento ridotto male, “Codesto gorfe gl’è tutt’un frinzello”, Quel golf è tutto una piega.
FRUFFRÙ: 1) Wafer. Il nome attribuito al biscotto è, senza dubbio, onomatopeico. 2) Omosessuale. “Quello lì gl’è un po’ fruffrù”, Quello lì è omosessuale.
FRULLARE: Girare o far girare intorno a un asse. “Ci son’ gli ultimi biglietti, poi si frulla la rota!”, Questi sono gli ultimi biglietti, poi si gira la ruota.
FURIA: Sinonimo di fretta. “Via, o che ti m’o’i c’ho furia”, Vedi di sbrigarti perché ho molta fretta.



VOHABOLARIO

del Vernaholo Fiorentino e del DialettoToscano
di ieri e di oggi
2ª Edizione corretta e ampliata: Agosto 2008
© 2008, Stefano Rosi Galli Si autorizza e si consiglia l’ampia diffusione GRATUITA e l’abbondante lettura
Rigorosamente vietata la vendita
Ricerca, redazione e impaginazione: STEFANO ROSI GALLI “S” Ricercatore attivo su’ i’ campo: MATTEO PATERNÒ “MATT
1ª Edizione: Maggio 2008 2ª Edizione corretta e ampliata: Agosto 2008
Questo gl’è i’-nnostro indirizzo: vohabolario@yahoo.es
Grazie di tutto còre a: Mamme, Babbi, Nonne, Nonni, Zie, Zii, Cugine, Cugini e tutti gli altri parenti!
E in particolare a: FABIO MENCHETTI, ILARIA ANDREUCCI, NICOLE MRUSEK; SILVIA CACIOLI “SIVY”; CARIL MINIATI “CARILLINA”; STEFANO PRÀTOLA “RICO”; ROBERTO DI FERDINANDO; LORENZO ROSI GALLI “MONSTERE SABRINA MASOTTI; VALENTINA STINCHETTI; GABRIELLE GIRAUDEAU; WLADIMIRO BORCHI; DIDE; CAMILLO ESPOSITO “CAMI”; FEDERICO MEI “I’-FFÉDE”; MARIO TISTARELLI; LUCIA DE SIERVO; ALI; LUCIA.



ieccoci! E ci risemo. Oh, a di’ i’-vvero, ‘un ci se lo immagina’a miha nemmeno noi di risentissi così presto! Anzi, ‘un ci s’era neanche figurato. Perché? Perché questo “Voha” gl’era nato come un gioho tra amici e nessuno si crede’a che finisse invece pe’ andà in giro pe’ mezza Europa (soprattutto Germania e Svizzera), comparire su un quotidiano nella pagina curturale (“Il Corriere della Sera”) e èsse’ presenti in un monte di blog. I’-ttutto in meno d’un mese! E allora, come si fa in questi casi, s’urla contenti: “Maiala! Spettaholo!”. Avé’ visto che gl’è piaciuto tanto è stata una sorpresa tanto inattesa come meravigliosa. E allora, come s’è scritto anche nei vari forum (si compare sempre co’ i’ nome di “Quelli del Voha”), GRAZIE A TUTTI!! E s’approfitta l’occasione anche pe’ rihordavvi che vu­cci pote’e scrivere all’indirizzo che vi s’è da’o a pagina 2, pe’ dacci suggerimenti, idee o mandare parole e modi di dire che ancora ‘un ci sono. Noi vi si dice solo che s’è bell’e messo già via um-bel po’ di parole pe’ la prossima edizione... Ma torniamo a’ i’ presente. Icché s’è fatto in questa sehonda edizione: prima di tutto s’è corretto tutte le sviste e gli errori -eh se n’era fatti umpo’ e via- che c’erano. Ma icché vu volete, gl’era una bischerata tra di noi. Come s’è detto prima, ‘un si crede’a miha che vullo leggessi in tanti, sennò e ci si sta’a umpò’ più attenti. Poi s’è aggiunto un monte di artre entrate, quasi dugento tra vohaboli, modi di dire e proverbi. E anche quarche foto. Siccome, poi, la cultura di un popolo la si rihonosce anche da icché mangia, s’è creduto di­ffare una bòna ‘osa a mettere la ricetta della famosa “Ribollita” fiorentina. La ce l’ha da’a la zia di uno di noi e vi s’assihura che l’è quella vera, originale e tramanda’a da una generazione al artra. Prova’ela e poi vu-cci di’e. S’è anche rimesso mano alle vite de’ Personaggi Storici Fiorentini, riscrivendo completamente, ma in modo sintetiho, senza sta’ a dilungassi troppo, sennò diventa uggioso, tutto quello che quei grand’omini feciano pe’ la storia sia di Firenze (guardate, presempio, la Famiglia de’ Medici, giusto pe’ dinne una), sia pe’ l’umanità (Leonardo, Galileo, Dante... Oh, tutta roba nostrana!). E s’è fatto perché c’è sembrato che di questi tempi, già da un bel po’ a di’ i’-vvero, ‘unn-è che a giro ci siano dei grandi esempi a cui ispirassi, da prendere a esempio. Anzi, a’ i’ contrario, ci sembra che ci sia parecchia muffa stantia, robuccia. E allora, icché ci pote’a èsse’ di meglio che andà’ a ripescà’ ni-nnostro glorioso passato! Poi, visto che ci siamo, si coglie l’occasione anche pe’ ringraziare tutti quelli che volontariamente collaborano a www.wikipedia.org; e tra i tanti autori vernacoli, Renzo Raddi (“A Firenze si parla così” - Polistampa / Samus) e Giuseppe Giusti (“Raccolta di proverbi toscani” - Edikronos). Si vòr rihordare anche che il “Voha” è protetto da diritti d’autore (e si dice perché c’hanno già prova’o a copiacci e a vendilo!) e che quindi si può passare agli amici ma ‘un si po’ vendere pe’ facci i’-bbusco personale. ‘Nzómma, pe’ falla breve, si spera d’avé’ fatto cosa gratita e nella speranza che sia così, vi salutiamo tutti con un bell’abbraccio e un pensiero del nostro grande Lorenzo il Magnifico: “Quant’è bella giovinezza, / che si fugge tuttavia! / Chi vuol essere lieto, sia: / di doman’ non c’è certezza” [“Canzona di Bacco” in “Canti Carnacialeschi”].

Introduzione alla 1ª edizione (Maggio 2008)
C i siamo divertiti a riunire in questo Vohabolario che avete tra le mani, tutte le parole e i modi di dire che ci sono venuti a mente del nostro vernaholo. Tutto è iniziato come un gioco, uno scambio di e-mail durante il lavoro, per allietare i momenti difficili che tutti conosciamo. Al principio, erano solo un par di fogli. Poi piano piano ha cominciato a crescere, fino a quando non ci siamo accorti che avevamo collezionato una bella quantità di termini. Allora ci siamo messi di buzzo bono per far si che diventasse qualcosa che fosse piacevole leggere in famiglia o con gli amici, affinché condividessero con noi le gioie del nostro modo di parlare.
Sì, s’è scritto “Vo-h-abolario”, con l’H perché noi in Toscana la “C” la ‘un si pronuncia miha, la s’aspira, ci s’ha la Gorgia. E allora come si fa a scrivilla se poi la ‘un c’è? Per questo la s’è cambia’a con l’H, come in Vernaholo. Quande poi una parola l’inizia’a co’ i’ “C”, la s’è tòrta proprio e a i’ su’ posto s’è messo l’apostrofo. Perché quande l’è tra du’ vohali all’inizio della parola, più che aspiralla, la si mangia proprio. Presèmpio: La Casa. O ‘unnè meglio allora scrive’: La ‘asa? Ah, s’è anche scritto ‘ose a questa maniera: “i’-ppane”, perché quella “P” e l’è doppia quande la si pronuncia. Eppoi ce ne sono anche artre ancora ma i’-rresto vi si racconta ne “La Grammatiha”. Andate a leggilli lì tutti i dettagli.
Ci s’è messo tre mesi per raccogliere novecento entrate (quasi cinquecento termini e un po’ di più di quattrocento tra modi di dire e proverbi) e nonostante ciò, chissà quante altre ce ne saranno lì a giro! S’è dedicato un po’ di pagine anche ai nostri antenati: i nostri personaggi storici, che son’ davvero tanti, e grazie anche ai quali Firenze e la Toscana son’ quel che sono.
E pe’ concludere, si vòle ringrazià’ un monte di gente: prima di tutto, tutti quelli che hanno creato un proprio blog nella rete e hanno dedicato una o varie sezioni al vernaholo fiorentino o al dialetto toscano. Siete stati tutti dei ganzi e vu siete stati anche di grande aiuto nei momenti bigi. Un grazie di còre anche agli autori vernacoli di canzoni e poesie. Grazie anche a chi, prima di noi, s’era preoccupato di riunire in preziosi libri i nostri proverbi e modi di dire. Grazie ai grammatici! Meno male che tante cose le ave’ano già scritte loro perché vi si giura che se la fonetica, quella co’ i’ “C”, l’è difficile, quella del Vernaholo, la fonetiha, la ti fa’ impazzà’! Poi, ovviamente, si ringrazia le nostre famiglie e gli amici: le fucine della nostra ispirazione. Icché si sarebbe potuto fare noi senza ripensare a tutto quello che ci dicevano mamme, babbi, nonne, nonni, zie, zii, cugine e cugini!


Abbreviazioni e Simboli
Tranquilli, ‘un c’è d’ampazzà’. Se n’è usate po’he, eppoi le si spiegano.
ABBREVIAZIONI
Ved.: Vedere. Sta pe’ “va’ a leggere anche icché c’è scritto alla parola tra virgolette”, che gl’è i’-ssu’ sinonimo, ossia vòr dire la stessa ‘osa.
Cfr.: Confronta. Questo gl’è compagno a quello che s’è detto sopra, però con la differenza che qui i termini si assomigliano ma ‘un son’ sinonimi. Quande si dice: “Quasi uguali”.
Lett.: Questo gl’è facile, Letteralmente.
Avv.: E anche questo, Avverbio
SIMBOLI
Doppia vohale: Questa ce la siamo inventata noi pe’ cercare di riprodurre i’-ssòno che c’ha la frase, o la parola, in bocca a un toscano, che non solo si mangia la “c” ma che strasciha pure le vohali, moltiplihandone la durata. Praticamente, quande in una parola c’è una doppia vohale, a’ lèggila, s’allunga i’-ssóno più di-nnormale.

A

ABBADARE: Fare attenzione. “Abbadaci tu caschi!”, Stai attento che cadi!
ABBÓCCANO: …i pesci. È come dire: “Guarda l’asino che vola”. S’apostrofa qualcuno con questo verbo, quando gli si fa uno scherzo evidente e la persona in questione ci crede come un bambino.
ABBOLLORE: Di qualcosa estremamente caldo. “La minestra l’è abbollore!”, La minestra è molto calda. Ved. “Bollore”.
ABBÓZZALA: Espressione che invita a mutare atteggiamento o comportamento. “Abbozzala di urlare!”, Smettila di urlare. “Oh che l’abbozzi?”, La vuoi smettere?
ACCHIAPPINO: 1) Molletta per stendere il bucato ad asciugare, in legno o plastica. 2) Giuoco fanciullesco consistente in una gara a rincorrersi senza farsi prendere.
ACCICCIÀSSI: Farsi male. “Eh tu-tti-sè’ acciccia’o di nulla”, Mi sembra che tu ti sia fatto molto male.
ACCINCIGNARE: Strizzare e appallottolare un pezzo di carta o un tessuto rendendolo pieno di grinze. “Codesta camicia l’è tutta accincigna’a, va’ a càmbiattela”, Quella camicia è piena di grinze, vai a cambiartela. Ved. “Rincincignare”.
ACCOMODARE: Riparare, aggiustare. “Che lo sa’ accomodare?”, Lo sai riparare da solo?
ADAGIATO: Persona calma, tranquilla, che impiega molto tempo a fare qualcosa. “Oh come gl’è adagiato”,
Accidenti quanto tempo gli ci vuole per fare qualcosa.
AFFRITTELLARE: Affrittellare è un verbo che si usa in particolare per l’ovo fritto. In fiorentino si dice: “ovo affrittellato”. In verità, il termine lo si potrebbe usare per qualsiasi cosa che venga fritta, ma è una vera particolarità che questo verbo del vernacolo venga utilizzato prevalentemente per l’ovo. “S’affrittella un ovino?”, Ci facciamo un uovo fritto?
AGGEGGIARE: Essere in continuo movimento, tramenare, compicciare, rimettere insieme, fare qualcosa in modo poco ordinato. “Icché t’aggeggi”, Che cosa stai compicciando? Ved. “Tramenare”.
AGGEGGIO: Un oggetto qualsiasi. Ved. “Coso” e “Trespolo”
AGHETTI: I lacci delle scarpe. “T’ha’ gl’aghetti lunghi. E tù-tte-li pesti”, I lacci delle tue scarpe sono troppo lunghi; finirai per pestarteli.
AIMMÉNO: Per lo meno. “Aimméno ti fosse tocca’o quarcheccosa...”, Se per lo meno ti fosse toccato qualcosa... “Aimméno umpiovesse...”, Se per lo meno non piovesse...
ALLAMPANA’O: Persona magrissima. “Gl’è secco allampana’o”, È veramente molto secco. Ved. “Ciuccia’o dalle streghe” e “Secco rifini’o”.
AMBIZIOSA/O: Aggettivo usato come sinonimo di “mantenersi, prendersi cura di sé stessi”. Per esempio, una persona di una certa età che ancora ci tiene a vestirsi bene quando esce di casa, a tenersi, dice: “Ancora sono ambiziosa”, Ancora ci tengo a presentarmi bene.
AMBROGETTA: Mattonella di terraglia a smalto per il rivestimento di pareti. Anche, e forse, soprattutto, usato per indicare le mattonelle del pavimento. Anche Lambrogetta (Ved.) dove si è verificato il fenomeno dell’unione dell’articolo al sostantivo, creando così un nuovo vocabolo. Ved. “Lastuccio”
AMBURGA: Hamburger. “O’ Nanni, che la vòi l’amburga pe’ pranzo?”, Tesoro, ti andrebbe di mangiare un hamburger per pranzo? Ved. “Svizzera”.
ANDARE/IRE: Presente Indicativo: Io vo; Imperfetto: Io andeo/andiedi; Te t’andei; Lui gl’andea; Noi s’andea; Voi vu’ andei; Loro gl’andeano. Passato remoto: Io andiedi, Tu andesti, Lui gl’andette; Noi s’andette/s’andiede, Voi v’andaste/vu andaste; Loro gl’andettero/Loro gl’andonno/Loro andierono. Futuro: Io anderò, Te tu anderai, Lui l’anderà, Noi anderemo, Voi vu anderete, Loro anderanno. Participio passato: Ito.
ANNO: Usato come avverbio invece di l’anno scorso. “Anno, fece un freddo birbone”, L’anno scorso fece molto freddo. “Ricordiamoci di ‘un fa’ come anno”, Ricordiamoci di non fare come l’anno scorso.
APPUNTALÀPISSE: Temperamatite. “Passami l’appuntalapisse.”, Passami il temperamatite.
APPUNTASSI: Segnarsi a qualcosa. “Che ti sè’ appunta’o a’ i’-ccorso in pescina?”, Ti sei segnato al corso in piscina?
ARADIO: Radio, radiolina. Il nuovo sostantivo nasce dall’unione e successivo troncamento dell’articolo sing. femm. “la”.
ARREGGERE: Reggere, tenere. “Arreggiti bene alla fune”, Tieniti ben stretto alla fune.
ARRÈGOLA: A quanto pare. “Arrègola l’a’e’a ragion’ lui”, A quanto pare aveva proprio ragione lui.
ARRIVARE: Utilizzato al posto di Prendere. “Che me l’arri’i te che tu sè’ arto?”, Me lo prenderesti te che sei alto. “Arrivami i’ quaderno”, Prendimi il quaderno.
ÀTAFFE: Per A.T.A.F.: Aspettare Tanto Alla Fermata invece di Azienda Trasporti Area Fiorentina. “Quelli dell’Àtaffe e fanno sempre sciopero, Governo ladro!”, Quelli dell’azienda trasporti sono sempre in sciopero, accidenti!
ATTACCA’O: Un po’ pissero ma soprattutto tirchio. Ved. “Pidocchioso”. AVELLARE: Non resistere dal cattivo odore. “Madonna che scorreggia t’ha’ sgancia’o, s’avella!”, Accidenti, che peto hai fatto, non si resiste dal puzzo! Da avello: tomba. AVELLO: Tremendo puzzo. In italiano, tomba, sepolcro. “Maiala ch’avèllo c’è qui. ‘Un si regge, si va via di
‘apo!”, Accidenti che tremendo puzzo che si sente qui. Difficile resistere. AVERE: Presente Indicativo: Io c’ho, Te tu c’hai, Lui c’ha, Lei la c’ha, Noi ci s’ha; Voi vu c’avete, Loro e c’hanno. AVVEZZARE: Abituare. “Gl’è avvézzo a fumare”, È abituato a fumare. “Tu-ll’avvézzi male”, Lo stai
abituando male. È diffusa anche la pronuncia con la -è- aperta, ma più nel pratese. AVVILISSI: Nel vernaholo fiorentino si continua ad utilizzare questo verbo invece del più attuale essere tristi. “Che sè’ avvilito?”, Che succede, sei triste? AZZANELLA: Parte della carreggiata esterna all’asfaltatura, spesso dissestata.
B

BABBALÈO: Babbeo, grullo, stupido. “Va’ ‘ia, va’ ‘ia babbalèo”, Smettila di fare lo stupido.
BABBO: Sempre usato invece di papà (che ‘un s’usa miha mai perché ci fa un po’ schifo). “I’ mi’ babbo”, Il mio babbo. La forma contratta è “pàe”. “To pàe”, Tuo padre, Il tuo babbo. Ved. “Pàe”
BACIAPILE: Ci si riferisce alle pile dell’acqua santa che sono nelle chiese. Quindi, per estensione persona casa-e-chiesa ma con un doppio senso negativo di chi apparentemente sembra una cosa ma sotto sotto è tutta un’altra. “E gl’è un baciapile di nulla”, È una persona che va sempre in chiesa. Ved. “Bacchettone/a”
BACIÀSCA: Contenitore non bene identificato. Quando in casa un tubo perde, ci si mette sotto una
baciàsca. Ved. “Zàgola”.
BACCELLO: Fava. “Far merenda con baccelli e pecorino”, Fare merenda con le fave e il pecorino.
BACCHETTONE/A: Le persone casa-e-chiesa. Ved. “Baciapile”
BACCHIÒLO: Bastone molto lungo. “E gl’ha un bacchiolo di nulla. Se te lo da in capo e t’apre”, Ha un
bastone molto lungo. Se ti picchia con quello, ti fa veramente male. Ovviamente, per estensione, e maliziosi come siamo, si usa anche per descrivere abbondanti attributi maschili.
BADA: Guarda. “Bada lìe che casino!”, Guarda che confusione! Ved. “Bada ‘ome”
BADAMILUI / BADAMILEI: Guarda quello/a, sempre in senso ironico e irrispettoso. “Badalei come la viene combina’a”, Guarda lei come si è sistemata per uscire.
BADARE: 1) Tenere d’occhio, osservare. “Badami i’ bambino che vo a’ i’ lìcitte!”, Per favore, guardami un momento il bambino che vado in bagno. 2) Fare attenzione. “Bada che tù-lle pigli”, Attento che ne buschi.
BAGÓRDI: Fare baldoria, ubriacarsi. “E s’è da’o ai bagordi”, È andato a fare baldoria.
BAHATO: Cariato, di dente, oppure Bahata, la mela. “T’hai i’-ddente bahato”, Hai un dente cariato. “Codesta mela l’è bahata, mangiala te”, La mela che hai preso è bacata, mangiala pure te.
BARROCCIO: Carretto da trasporto merci trainato da cavalli. Cfr. “Calesse”
BARROCCINO: Carretto che circolava per le strade di Firenze vendendo differenti articoli. Per esempio, esisteva il barroccino del cenciaiolo, che vendeva tele e stracci; il barroccino del gelataio, che ovviamente vendeva i gelati; e così via.
BECCARE: 1) Riuscire nell’intento. “L’ho becca’o”, L’ho preso. 2) Ammalassi, prendere una malattia. “Ho becca’o l’influenza”, Ho preso l’influenza. 3) Essere sorpresi in fragrante. “T’ho becca’o”, Ti ho scoperto. 4) Sinonimo di imbroccare e cuccare. “Che n’hai becca’a nessuna te?”, Hai fatto colpo su nessuno?
BECCASSI: 1) Vedersi, incontrarsi. “Ci si becca”, Ci si vede. “Indó’ ci si becca?”, Dove ci si incontra?
BECCHETTASSI: Litigare, discutere. “Guarda que’ due ‘ome si becchettano”, Guarda quei due come litigano.
BÉCERO: Persona rozza, volgare nei modi ma soprattutto nel parlare. “E gl’è un bécero di nulla”, È proprio una persona rozza.
BELLIHO: Ombellico. “Tùllo pò’ tené’ te. Icché me ne fo io? Mi ci gratto i’-bbelliho”, Lo puoi tenere senza problemi, a me non serve. Non saprei cosa farmene.
BELLINO: 1) Guarda bellino, nell’espressione “guarda che bello”. Si dice, per esempio, a un bimbo piccolo mostrandogli un balocco o un oggetto per farlo stare buono. Dove “Bellino” si riferisce all’oggetto, non al bimbo, come potrebbe interpretare un non toscano. 2) Preceduto dall’esclamazione “Oh” nell’intonazione “Oh bellinoo...”, viene detto a qualcuno che ci sta veramente stancando con il suo atteggiamento o i suoi discorsi.
BELLOCCIO: Bello, diminutivo affettuoso, del tutto privo del senso un po’ dispregiativo di bellezza grossolana, che si ha fuori della Toscana. “Oh come gl’è belloccio i’-ssù’ figliolo”, Suo figlio è proprio bello. Cfr. “Discreto”
BIANCONE: La fontana del dio Nettuno o “di-Bbiancone”, come l’hanno ribattezzato i fiorentini, in Piazza della Signoria, fu voluta da Cosimo I de’ Medici, e progettata da Baccio Bandinelli. La vasca, che fu costruita tra il 1560 e il 1575, vede al centro la gigantesca statua scolpita da Bartolomeo Ammannati (Firenze 1511­1592). Le statue di bronzo che decorano la fontana (Satiri, Tritoni e Nereidi), sono opera del Giambologna (pseudonimo di Jean de Boulogne, Douai 1529 - Firenze 1608).
BIASCICARE: Masticare a bocca aperta producendo un rumore fastidioso. “Oh icché tu biascihi”, Potresti masticare con la bocca chiusa. Ved. “Sbiascicare”.
BIRBONE: Tremendo. “Tu-ssè’ propio un birbone”, Sei proprio tremendo. “Oggi fa un freddo birbone”, Oggi fa un freddo tremendo.
BISCHERATA: L’azione compiuta o la cosa pensata da un bischero. Infatti, significa che si è fatto un qualcosa senza pensarci troppo su e il risultato è stato chiaramente fallimentare, come del resto sarebbe stato lecito attendersi se solo ci avessimo pensato un poco prima d’agire.
BÌSCHERO: Persona poco acculturata e poco furba che assume atteggiamenti chiaramente poco convenevoli e poco convenienti. L’origine di questo termine non è chiaro, anche se l’ambiente è chiaramente quello Toscano, da Firenze fino alla maremma. Per qualcuno deriva dall’organo genitale maschile, per altri dal cognome d’una antica famiglia fiorentina celebre per gli investimenti finanziari sbagliati, per altri ancora dalla chiave che regola gli strumenti a corda. E per finire, abbiamo anche il bischero di palude, che è quell’arbusto che cresce sulle sponde delle paludi o dei fossi d’acqua ferma e che avendo il peso sulla sua estremità, è sempre in continuo ondeggiamento, per cui ogni piccola ventata lo muove, come il bischero che si lascia convincere dal primo venuto, senza valutare “con la zucca” sulle spalle. Quindi, anche se usato in maniera scherzosa e abbastanza colloquiale, significa stupidotto, sempliciotto, quando non significhi qualcosa di peggio. Dipende dal tono di voce che viene usato e, ovviamente, dal contesto in cui viene detto.
BISCOTTO DELLA SALUTE: Fetta biscottata. Il nome probabilmente deriva dal fatto che all’ospedale, quando siamo ricoverati, vengono date le fette biscottate per fare colazione e le vecchine credono, appunto, che sia un super biscotto.
BOCCALONE/A: Chiaccherone, che mette bocca da per tutto. “Che boccalona! La pensasse un pohino pe’ ‘azzi sua!” Che tremenda pettegola! Non si fa mai gli affari suoi.
BOCCARE: Cadere in avanti. Usato nel modo di dire: “Manca poho bocco”, C’è mancato poco che cadessi.
BÒCCIA: Bottiglia. “Bere a boccia”, Bere a bottiglia.
BOCCIARE: Nell’ambito scolastico, non essere promosso all’anno successivo. “T’hanno boccia’o”, Non sei stato promosso. Ved. “Segare”.
BOCIARE: Alzare molto la voce, urlare. “Oh icché tu boci, ‘un son’ miha sorda!!”, Non importa che tu urli così forte, non sono sorda. Ved. “Vociare”.
BOLLORE: Quando fa molto caldo. “L’è un bollore oggi”, Oggi fa veramente molto caldo. Ved. “Abbollore”.
BOLOGNA: Mortadella. “Ci sa a fa’ un bel panino con la bologna?”, Perché non ci facciamo un bel panino con la mortadella?
BÒNA: Formula di saluto, prima di andarsene. Abbreviazione di buonasera, buonanotte, ecc... “Bòna raga’”,
Ciao ragazzi.
BÓNGO: Dolce Profiterole. In alcune province viene ribattezzato familiarmente “Palle di ciuho”.
BORRACCINA: Muschio. “Sta’ attento, tu sci’oli! L’è pieno di borraccina”, Fai molta attenzione a non scivolare, è pieno di muschio bagnato.
BÒTOLO: Espressione brutale e indelicata per indicare un uomo o una donna di piccola statura e tendente all’obesità. Nell’estremo della cattiveria si dice anche “Botolo di merda”, quando qualcuno è veramente troppo grasso.
BOTTEGA: 1) Negozio. “Vo a bottega”, Vado al negozio. 2) La cerniera dei pantaloni. “T’hai la bottega aperta”, Chiudi la cerniera dei pantaloni.
BRAHARE: Impicciarsi degli affari altrui sia figuratamente che in concreto. Per esempio, rovistando affannosamente nella borsa di una donna: “Oh icché tu-bbra’hi?”, La smetti di curiosare? Ved. “Ciacciare”.
BRAHONE: Colui che compie l’azione di brahare. Curiosone, impiccione. Ved. “Ciaccione”.
BRINDELLONE: 1) Il carro trainato dai buoi che viene portato davanti al Duomo per Pasqua. Lo Scoppio del Carro è una antichissima manifestazione popolare fiorentina che risale addirittura ai tempi della prima crociata. Siamo nel 1097 e Goffredo di Buglione, Duca della bassa Lorena, parte a capo dei crociati per riconquistare Gerusalemme agli infedeli. Dopo un veloce assedio, il 15 luglio del 1099 riuscirono a espugnare la città, e si narra che il fiorentino Pazzino de’ Pazzi fu il primo a salire sulle mura e che per questo gesto di valore Goffredo gli donò tre schegge del Santo Sepolcro che Pazzino riportò poi a Firenze. Liberata Gerusalemme, il Sabato Santo i crociati si radunarono nella Chiesa della Resurrezione e consegnarono a tutti il fuoco benedetto come simbolo di purificazione. Ed è proprio a questa cerimonia che risale l’usanza pasquale di distribuire il fuoco santo al popolo fiorentino, perché il fuoco santo veniva acceso proprio con le scintille sprigionate dallo sfregamento delle schegge di pietra del Santo Sepolcro. Dopo il ritorno di Pazzino a Firenze (16 luglio 1101), ogni Sabato Santo, i giovani delle famiglie si recavano nella Cattedrale di Santa Reparata (a quei tempi non c’era ancora il Duomo, che inizió a costruirsi nel 1229) dove accendevano una fecellina (piccola torcia) al fuoco benedetto per poi andare in processione per le strade della città e portare la fiamma purificatrice in ogni focolare domestico. Con il tempo la festa divenne più elaborata e s’introdusse l’uso di trasportare il fuoco santo con un carro dove, su un tripode, ardevano dei carboni infuocati. Non si sa quando si sostituì il tripode con i fuochi artificiali ma si ritiene che il cambio risalga alla fine del trecento. La famiglia de’ Pazzi, che era l’incaricata dell’organizzazione del carro e di sostenere l’onere delle relative spese, perse tale privilegio nel 1478 quando la Repubblica la cacciò dalla città in seguito della famosa congiura ordita contro i Medici. La Signoria ordinò che non si celebrasse più tale festa e che si mantenesse solo la distribuzione al popolo del fuoco benedetto, cerimonia che doveva avvenire dove anche attualmente scoppia il carro, fra il Battistero e la Cattedrale. Ai fiorentini però non piacque per niente l’abolizione della spettacolare festa e cercarono con tutti i mezzi la revoca della proibizione, fino a quando non la ottennero e la Signoria ordinò ai Consoli dell’Arte Maggiore di Calimala, amministratori del Battistero di San Giovanni, di provvedere ai festeggiamenti così come si faceva prima della congiura. Nel 1494 si verificò poi il rovescio della medaglia: a causa delle prediche del domenicano Girolamo Savonarola, la città mandò i Medici in esilio e restituì alla famiglia de’ Pazzi i suoi antichi diritti e privilegi, compreso quello dell’organizzazione del carro del Sabato Santo. Il carro inizialmente molto più piccolo e semplice dell’attuale, subiva molti danni a causa delle deflagrazioni e doveva ogni volta essere restaurato completamente e fu allora che i Pazzi decisero di allestirne uno molto più resistente e massiccio, l’attuale “Brindellone”, come lo chiamiamo affettuosamente a Firenze. Il giorno di Pasqua, si attaccano al Brindellone due paia di bianchi e infiocchettai bovi e il carro viene portato dal piazzale di Porta a Prato a piazza Duomo sotto la scorta di centocinquanta armati, musici e sbandieratori del calcio storico fiorentino. Staccati i bovi, si tende un filo di ferro, che sostituisce la corda sugnata di un tempo, a sette metri d’altezza, dal carro al coro dentro la chiesa. La festa inizia alle undici quando, al canto del “Gloria in excelsis Deo”, dal tabernacolo dei Santi Apostoli si accende, con il fuoco santo, la “colombina”, un razzo dalle sembianze di una colomba bianca, simbolo di purezza, come il fuoco, e pace che raggiunge il carro e attizza i fuochi artificiali. A questo punto la colombina dovrà tornare indietro e solo se compie il percorso senza bloccarsi, si potrà trarre un buon presagio per il futuro raccolto nei campi. La cronaca racconta che l’ultima volta che la colombina non compì con successo il percorso fu nel 1966, l’anno dell’alluvione! Lo spettacolo pirotecnico, che dura una ventina di minuti, e simbolicamente distribuisce su tutta la città il fuoco benedetto, avvolge l’imponente mole del carro con nubi bianche e dense mentre assordanti scoppi si ripetono uno sull’altro. Le scintille sono così tante da sembrare una vera pioggia di colori: dal viola al rosso, passando per il verde, il rosa, il bianco e il blu, fino a quando il profilo del Brindellone non scompare del tutto ingoiato in questo caleidoscopico gioco di colori. 2) Scherzoso, giovanottone non aitante né ben messo, normalmente alto, in sovrappeso e sgraziato. Neanche troppo brillante intellettualmente.

BRUCIATA: Caldarrosta. “Ci si scarda con i’-vvino e le bruciate”, Ci scaldiamo con il vino e le caldarroste.
BRU-GINSI: Pantaloni blue-jeans. “Che me l’ha’ stira’i i bru-ginsi?”, Hai stirato i miei blue-jeans?
BRUHAPELO: Amichevole per lesbica.
BRUSOTTO: Giubbotto. “Mettiti i’-bbrusotto peso che fòra fa un freddo s’aggranchia”, Mettiti il giubbotto pesante che fuori fa un freddo tremendo.
BUBARE: Mormorare senza sosta parole di malumore e disapprovazione nei confronti di qualcuno o
qualcosa che però non viene specificato. “Oh icché tu bubi? - Eh! Lo so io pe’ icché bubo!”, Che cosa
stai mormorando? Lo so io per che cosa mormoro.
BÙCCOLE: Gli orecchini. “C’ha visto che buccole la s’è messa? – Uhuuu, brutte!”, Hai visto che orecchini si è messa? – Davvero brutti!
BUHAIÒLA: Stronza o maiala.
BUHAIÒLO: 1) Antico negoziante delle “buche”, i negozi del mercato di San Lorenzo che erano (e alcuni lo sono tutt’ora) posti al di sotto del livello stradale, di fatto... in “buca”. All’ora di pranzo passavano i carri con le vivande e chiamavano a raccolta i negozianti al grido di: “Buhaioli... c’è le paste!”. 2) Un’altra versione riporta che il modo di dire è invece riferito ai bucaioli, cioè gli stradini che andavano con la ghiaia a riempire le buche per strada che stavano sotto il Torrino di Santa Rosa. 3) Bastarbo. “Noo, buhaiolo!”, Noo, bastardo!
BUHARE: Pungere, urticare. “La s’è bucata con gli spini”, Si è punta con le spine.
BUHO: Omosessuale. Nella versione spregiativa, “buho fradicio”. E nel chiarimento del dubbio: “Se tu-
ssè’ buho, dillo!”, come nel mitico film “Il Ciclone“ (1996) del Pieraccioni. BULLETTA: Chiodo. “Piglia martello e bullette”, Prendi martello e chiodi. BULONE: Bullone. “Ci ‘òle um-bulone più grosso”, Abbiamo bisogno di un bullone di maggior diametro. BUSCANNE: Prendere le botte. “N’ha buscate di santa ragione”, Ha preso proprio tante botte. BUZZA: La pancia. “E l’ha una buzza di nulla”, Ha messo su una bella pancia.
Ved. “Buzziha” BÙZZIHA: Pancetta tirando a pancione. “Secca? E l’ha una buzziha di pe’ i’ ridere! La la nasconde. La si mette
‘ose scure”, Secca? Ha una bella pancetta, non credere! La nasconde mettendosi cose scure. Ved. “Buzza” BUZZONE: Pancione. “Eh gl’è diventa’o um-buzzone di nulla”, Mamma mia è ingrassato davvero tanto.
C

C’È: Utilizzato sempre, anche nel caso di plurale. “C’è quelli di-ggasse”, Ci sono gli operai del gas.
CACIO: Formaggio. “Passami i’-ccacio”, Passami il formaggio.
CAHARE: Considerare, prestare attenzione. “Cahami un momento”, Considerami un momento. “‘Ùm-mi
haha nemmeno di striscio”, Non mi prende in considerazione nemmeno lontanamente. CALOSCE: Stivaletti di gomma. “Mettiti le ‘alosce sennò tu-tti mòlli e piedi”, Mettiti gli stivali di gomma,
altrimenti ti bagni i piedi. Ved. “Galosce” e “Sciantillì”
CALZONI: Pantaloni. Spesso pronunciato “Carzoni”.
CAMPO: Normalmente usato invece del sinonimo orto, “Gl’è ni campo a pianta’ i pomodori”, È nell’orto
a piantare pomodori.
CANINO: Cagnolino, cane piccino. Cfr. “Canóne”
CANNA: Spinello, sigaretta con hashish o marihuana.
CANNOTTIERA: Canottiera. In fiorentino, rigorosa la doppia nasale “-nn-”.
CANÓNE: Cagnone, cane grande. Cfr. “Canino”
CANTILENA: In Italiano vuol dire: semplice composizione letteraria o musicale ma in Fiorentino si utilizza normalmente per prendere in giro: “O’ come la parla, l’ha una ‘antilena di nulla”, per indicare che chi parla ha intona la frase in un modo molto poco gradevole; quasi fosse più una lagna. A volte si dice anche di certe bambine: “La sarà anche bellina ma l’ha ‘na ‘antilenaa e par che la pianga!”, È molto carina ma parla in uno modo molto sgradevole.
CANTONA’A: 1) Sbaglio eclatante, tremendo abbaglio. 2) L’angolo esterno di un edificio all’incontro di due strade.
CARCAGNO: Tallone, parte posteriore del piede, variante di “Calcagno”.
CARCINCULO: La giostra della fiera formata da seggiolini metallici sospesi mediante catene, che ruota su sé stessa. Il nome viene dal fatto che è necessario un calcio in culo da chi ti sta dietro affinché tu possa raggiungere il pallone, posto a un’altezza rilevante, dal quale ciondola una corda, che è quello che bisogna afferrare per poter vincere un altro giro gratuito sulla giostra.
CARROTA: Carota.
CASCARE: Usato a preferenza del sinonimo cadere. “Icché gl’è cascato?”, Per caso è caduto?
CATAFARCO: In italiano è una sorta di palco, adornato di drappi neri, eretto nel mezzo della chiesa per sostenere la bara. Ma in fiorentino viene detto anche di qualsiasi altra cosa che ne ricordi anche vagamente la somiglianza. Ovviamente a uso dispettivo. “Madonna che macchina che s’è compra’o. E gl’è un catafarco di nulla”, Hai visto che macchina brutta si è comprato? Sembra un carro funebre!
CAZZEGGIARE: Espressione  volgare e comunissima per dire passare il tempo senza fare niente, senza fare un cazzo. “Invece di studiare ho cazzeggiato tutto il pomeriggio”, Invece di studiare, non ho fatto niente per tutto il pomeriggio.
CECCOTOCCAMI: Persona che fa dispetti per farseli rifare. Tipicamente riservato ai bambini. “Gl’ha fatto propio bene a renditele, te tu se’ ‘ome ceccotoccami!”, Ha fatto proprio bene a rendertele, non fai altro che stuzzicarlo. Dalla tipica frase “Cecco, toccami che la mamma ‘un vede!”.
CEGLIÒ: Lett. Ce li ho. Contrazione e modificazione fonetica tipica dell’alto valdarno (Pontassieve e zone limitrofe). È la risposta che normalmente si da’ alla domanda “Cegliài?”, Ce li hai? Ved. “Cigliòle”
CIGLIÒLE: Lett. Gli ci vuole?, ne ha bisogno, gli serve; sempre per l’uso al singolare. Tipico della zona dell’alto valdarno (Pontassieve e zone limitrofe). Per il plurale, invece, esiste la forma “Ciglieneòle”, Quanti li ce ne vuole?, “Quanti bottoni cigliòle? Ciglieneòle minimo dugento o trecento”, Quanti bottoni gli servono? Gliene servono almeno duecento o trecento. Ved. “Cegliò”
CENCINO: Straccio per spolverare. “C’ha’ miha un cencino che vole’o pulì’ i’-rripiano in camera mia”, Per caso hai uno straccio per spolverare? Vorrei pulire la mensola in camera mia.
CENCIAIOLI: Persone che passavano per le case per raccogliere i “cenci”, gli stracci. Dopo averli lavati e rammendati, li rivendevano al mercato.
CENCIO: 1) Straccio per pulire il pavimento 2) Dolce tipico fiorentino fatto di pasta tirata fino a raggiungere un sottigliezza incredibile, fritto e poi spolverato con lo zucchero a velo. Buonissimi!
CHETARE: Zittire, stare zitto, non parlare, “Oh che ti ‘heti..”, Ci vuoi stare zitto!
CHIORBA: Testa. “Che chiorba dura che t’hai!”, Hai la testa veramente dura.
CHIORBONE: Persona testona sia fisicamente sia come sinonimo di testardaggine.
CISLÒNGHE: Sedia a sdraio, dal francese “chaise-longue”. Ved. “Gislonghe” e “Cislonga”
CIABATTONE: Persona dall’aspetto trasandato che non ha voglia di fare niente. Ved. “Grattamuri”
CIACCIONE: Persona che s’intromette, che fruga nei posti e nelle cose che non gli appartengono.
CIANA/E: Una ciana è sia un pettegolezzo sia la persona chiacchierona. “L’è una ciana”, È un pettegolezzo / È una pettegola. Dipende dal contesto in cui si dice. Quando il termine incarna una persona, rappresenta una figura tipicamente toscana: quella della donna boccalona, chiacchierona, che prima di venire a sapere una cosa, l’ha già spifferata. Che quando racconta aumenta, accresce il volume e gonfia l’effetto. E lo fa usando parole volgari e espressioni triviali. Non parla, urla e con urla risponde a tutti. Non sa nemmeno che esista l’educazione; neanche sospetta che esiste una cosa chiamata rispetto. Con il sussurro di qualcuno ha già montato una storia fondata su elementi certi. Anche gli abiti e lo stile che adotta sono caratteristici: sciatta, ciabattona, non amante dell’acqua e con un gommino per capelli con dentro annodata mezza capigliatura che le ferma, dietro la nuca, le due ciocche che cadono delle tempie. Prima a Firenze, questo tipo di donna veniva chiamata “la ciana di San Frediano”, il celebre quartiere popolare della città, circondato da mala fama per anni. Il soprannome, dal quale deriva poi anche il verbo cianare (Ved.), è il diminutivo di Luciana, personaggio del melodramma “Madama Ciana” di A. Valle (1738). Divulgato poi da G. B. Zannoni negli scherzi comici intitolati “Le ciane di Firenze”.
CIANARE: Spettegolare. “Le stanno tutt’ i’-ggiorno sull’uscio della bottega a cianare di ‘hi passa”, Stanno tutto il giorno sulla porta del negozio spettegolando su chi passa di lì.
CIANCE: Chiacchiere vane, pettegolezzi. “Sta’ bòno, e le son’ ciance. ‘Un-tt’arrabbiare”, Stai tranquillo, sono solo chiacchere. Non ti arrabbiare.
CIACCIARE: Impicciarsi degli affari altrui, rovistare affannosamente. “E gl’è un ciaccione di pe’ i’ ridere”, È veramente un ficcanaso tremendo. Ved. “Brahare”.
CIACCIHONE: Colui che compie l’azione di ciacciare. Impiccione, curiosone. Ved. “Brahone”.
CIANCIHARE: Tocchicchiare. “Icché tùllo cianci’hi tutto?”, Perché lo stai toccando insistentemente?
CIANTELLA: Ciabatta, scarpa vecchia e sdrucita utilizzata come ciabatta. Indica anche i piedi particolarmente grandi: “T’hai delle ciantelle di nulla”, Hai i piedi proprio molto grandi.
CIHALA: 1) Organo sessuale femminile 2) Ragazza piacente. Ved. “Passera”. 3) L’insetto attaccato agli alberi,
soprattutto a’ pini, che d’estate ci fa sapere co’ i’ suo tipiho sòno, che fòri si schianta da’ i’-ccardo ‘he fa.
CICCA: Sigaretta. Mentre nel resto d’Italia è la gomma da masticare CICCHINO: Sigaretta.
CICCIA: Carne. “Mangia la ciccia”, Mangia la carne. L’espressione “Ciccia” o “L’è ciccia”, indica che bisogna
arrangiarci con quello che c’è, che non c’è modo di fare differentemente. “Si prova a aspettare e sennó ciccia, se ne fa a meno”.
CIFRA: Moltissimo. “Mi piace una cifra”, Mi piace moltissimo.
CIGNA: Forzatura per “cintura”. Ved. “Cinta” e “Cintola”
CIGNALE: Forzatura per “cinghiale”.
CIGNAHA: 1) Colpo inferto con una cigna (cinghia, cintura). 2) Un forte colpo inferto o ricevuto. “Ha battu’o una cigna’a di per i’-rridere”, Ha battuto un colpo molto forte. “Icché fa un cigno ‘he ‘asca dall’ottavo piano? Batte ‘na cigna’aa!”
CINCI: Pene. “Icché gl’è quello nonno? - Eh, eh e gl’è i’-ccinci di-ccavallo!”, Nonno, che cos’è quello? Eh, è il pisello del cavallo!
CINCINNINO: 1) Una piccolissima parte di qualsiasi cosa (di solito riferito a cose da mangiare, ma non solo), “Metticene un’altro cincinnino (di colla, di colore e così via)”, Metticene appena un altro po’. 2) Un po’: “Fallo un cincinnin’ più lungo, vai, quest’orlo!”, Allunga quest’orlo di qualche altro millimetro. Ved. “Zinzinnino”
CINGOMMA: Gomma da masticare, dall’inglese “chewing gum”. Ved. “Ciringomma”
CINTA: Forzatura per “cintura”. Ved. “Cigna” e “Cintola”
CÌNTOLA: Forzatura per “cintura”. Ved. “Cigna” e “Cinta”
CIÒTOLA: Il piatto dove bevono gli animali. In italiano indica il Piatto Fondo. Ved. “Scodella”
CIRINGOMMA: Gomma da masticare, dall’inglese “chewing gum”. Ved. “Cingomma”
CIRUSCO: Miope. “E ‘ùn-ti vede, gl’è cirusco”, Non ti può vedere, è miope.
CITRULLO: Bischero. Si usa spesso anche “rincitrullito” o “rincoglionito”. “Và-ia, Và-ia... citrullo!”.
Ved. “Bischero” e “Grullaia”
CIULARE: Rubare. “Ho ciulato le gomme a’ i’ barre”, Ho rubato queste gomme al bar.
COCCIÒLA: Gonfiore irritante prodotto dal contatto con l’ortica o da una puntura d’insetto.
CÒCCOLI: Pasta fritta. “Dammi un po’ di ‘occoli”.
COHOMERO: Anguria. “O’ come gl’è bòno i’-ccohomero d’estate!”, L’anguria in estate è veramente apprezzata.
CODESTO: Per indicare qualcosa vicino a chi ascolta. Si utilizza solo in Toscana.
COHO: Cuoco. “Indó’ gl’è i’-ccoho?”, Dov’è il cuoco? Poi c’è anche i’ sottohoho...
COGLIÓMBERO: Come dire coglione ma in un modo meno volgare.
COLLASSARE: 1) Persona che per abuso di alcol cade e rimane immobile per terra, “Gl’è collassato”.
2) Andare a letto per riposare dopo aver passato la notte senza dormire. “Vo un po’ a collassa’ a letto”, Vado a riposare un po’ sul letto. COLTELLA: Coltello da cucina.
Ved. “Cuttella” e “Cortella” CÓMPA: Forma abbreviata per compagnia. “I raga’ della cómpa’ ‘un vengono”, I ragazzi della compagnia non vengono. COMPANATIHO: Quello che si mangia con il pane.
CONCIASSI: 1) Combinarsi. Usato per descrivere l’abbigliamento stravagante di qualcuno, “O’ come tù­tti sè’ concia’o!!”, Come ti sei combinato? 2) Insudiciarsi, ridursi in condizione pietose, per descrivere lo stato di sporcizia in cui uno si può trovare, “O’ come tù-tti sè’ concia’o!? – E son’ casca’o pe’ terra...”,
Ma come ti sei ridotto? – Sono caduto per terra...
CONIGLIOLO: Coniglio. “Icché c’è da desinare? - Conìgliolo con gli iustis”, Che cosa c’è da mangiare? Coniglio con i wüstel. Ved. “Iustis”
CÒPPE: Coop, catena di supermercati. “Si va a’i’ Coppe a fa’ la spesa”, Andiamo alla Coop a fare la spesa.
CORTE: Cortile.
CÒSO: Riferito a una persona o oggetto che non si conosce o che si vuole sminuire o del quale non si ricorda il nome proprio. “Passami codesto coso..”. Ved. “Aggeggio” e “Trespolo”
CÒTTO: 1) Essere cotto, essere stanco, essere in botta. “Gl’è cotto”, “E son’ cotto”. 2) In fiorentino, sinonimo di perso, andato, svampito… tutte maniere per indicare lo stato poco attento, per non direquasi completamente assente, della persona alla quale ci si riferisce. È importante precisare che lo stato di confusione deve essere stato provocato da abuso di alcol o/e droghe. “O’ ‘otto, macché ci sei co’ i’ capo?”, Ehi tu, perso, capisci quello che ti dico? Ved. “Svampi’o” e “‘Un torna miha più”
CRISSARE: Quando s’incanta lo sguardo e si rimuggina. Pensare, fissando nel vuoto. Usato nel pratese.
CROSTINO: 1) Culinariamente indica la fettina di pane tostata spalmata ricoperta di ingredienti vari, che si serve di solito come antipasto: c. di fegatini di pollo, c. di tartufi, c. al formaggio. 2) Persona noiosa e pedante.

D
DAMO/A: Fidanzato/a. Molto usato a Sesto Fiorentino e Quinto Alto e Basso. “Che l’ha’ tro’ato i’-ddamo?”,
L’hai già trovato il findanzato? DAVVERO: Veramente, proprio così, già. “Che dici davvero o scherzi?”, Dici veramente o stai scherzando? DEGENERO: Confusione eccessiva. Ved. “Macello” DESINARE: Il pasto principale della giornata, di solito a mezzogiorno. “Dopo desinare”, Dopo pranzo. DESTASSI: Svegliarsi, “A che ora tu-tt’-hai da destà’ domani?” A che ora ti devi svegliare domani? DESTO: Sveglio. “Che dormi o tu se’ desto?”, Dormi o sei sveglio? DIÀCCIATI: Calmati, freddati, tranquillizzati. “Oh che ti diacci un po’hino”, Vuoi stare un po’ tranquillo… DIACCIO: Ghiaccio. DIACERE: Dormire. “Va’ a diacere”, Vai a letto. DIANZI: Poco fa. “Son’ uscito dianzi. Ora ‘un risòrto”, Sono uscito poco fa. Adesso non esco di nuovo. DINANZI / DINNANZI: Davanti. “Indò’ le son’ le ‘hiave? - O che s’è orbo! L’ènno dinanzi a te!”, Dove
sono le chiavi? - Sei diventato cieco? Sono davanti a te!
DINDI: Soldi, usato per lo più dai bambini.
DIÒSPERO: Pomo, caco. “O’ come son’ dórci ‘sti diòsperi!”, Questi cachi sono buonissimi.
DIRE: Cong. Pres. Loro dihino. Es.: “Se dihino i’-vvero, ‘un si sa!”, Non sappiamo se stanno dicendo la verità.
DISCRETO/A: Veramente bello/a, con presenza. “Eh gl’è discreto di nulla”, È veramente molto bello.
DITI: Plurale di dito, invece di dita. I Diti in realtà sono un tipo di paste ripiene di crema, cioccolata o panna.
“Togliti i diti da’ i’ naso”, Non ti mettere le dita nel naso. DÓDDO: Persona stupida e un po’ lenta, leggermente ritardata. DÒMO: Duomo nell’espressione “vaffandòmo!”, modo non volgare per “vaffanculo”.
E
ÉLLERA: Pianta dell’edera. “L’amore è come l’éllera / dove s’attacca mòre / così così il mio còre / mi si è attaccato a te...” [da gli Stornelli mugellani della tradizione toscana]
ÈNNO: Sono. Sostituizione della 3ª persona plurale del presente indicativo dell’ausiliare “Essere”. Esempi: “Ènno stanchi”, Sono stanchi. “Ènno briahi”, Sono briachi. “Ènno iti”, Sono andati.
EMPIRE: Riempire. “Émpi i’-ssecchio”, Riempi il secchio.
ERESIE: Sinonimo di bestemmie. “Non dire eresie!”, Non bestemmiare.
ESSERE: Presente Indicativo: Io sono; Te tu sei; Lui gl’è; Noi s’è/ Noi semo; Voi vu’ siete; Loro gl’ènno. Passato remoto: Tu fosti, Loro funno.
EURI: Familiarmente, al plurale al posto del singolare. “Che ce gli hai gli euri pe’ andà’? Sennò tu-ffà’ ‘ome me, tu sta’ a casa”, Ce li hai i soldi per andare? Altrimenti farai come me, rimani a casa.
F
FARE: Presente Indicativo: Io fo; Passato Remoto: Loro féciano.
FARFALLONE: Essere un donnaiolo in senso spregiativo.
FAVA: 1) Organo genitale maschile. 2) Lo si può usare per sostituire “bischero”. “Tu sei proprio una fava!”,
Sei proprio un stupido.
FETTUNTA: Fetta di pane abbrustolita, strofinata con l’aglio e poi cosparsa d’olio nuovo e sale. “S’ha a fa’ una fettunta?”.
FIACCO: Stanco. “E son’ fiacco”, Non ho fiato. Ved. “Stracco”
FIASCO: Contenitore in vetro di forma panciuta e rivestito di paglia (impagliatura) con un cerchio alla base perfarlo restare in piedi. È un tipico contenitore toscano che non viene pressocché utilizzato in nessun altra parte d’Italia né del mondo. Di norma contiene vini toscani ed in particolare Chianti. L’infiascatura del vino avveniva quando l’acquisto di cospicue quantità per la famiglia dovevano essere riversate dalla damigiana, altro contenitore caratteristico, in contenitori più piccoli ed adatti alla tavola. Bottiglie o appunto, fiaschi.
FIGURATI: Ma guarda! Ma pensa un po’! Esprime meraviglia, stupore, ammirazione, comunque con una connotazione positiva, “Ieri a casa mia l’è caduto un metro di neve - figurati!”.
FIHATTOLA: Pasta di pane fritta con forma di ciabatta. Ved. “Zonzella”
FIHOLESSO: Persona poco sveglia, poco attenta, un po’ persa, distratta che si lascia sfuggire un’occasione. “Perché ‘un tull’ha’ presa? Ma tu-ssarai un fiholesso.”, Perché non l’hai presa? Sei stato poco svelto, non hai avuto i riflessi pronti.
FIHOSO: Di persona che non gli va bene niente. “Gnamo, non fare i fi’oso, mangia”, Su, via non fare tante storie e mangia.
FOGATO: Interessato, supercoinvolto. “Tu se’ foga’o pe’ quella musica”, Quella musica ti coinvolge davvero tanto.
FOHO: Fuoco.
FÒRA: Fuori. “Indo l’è la zia? L’è fora”, Dov’è la zia? È fuori.
FORASTIERO: Straniero; ma si possono chiamare così anche quelli che non sono di Firenze.
FORCAIOLO: Ragazzo che abitualmente non va a scuola senza che il permesso dei genitori. ...e va a Boboli! Ved. “Fa’ forca”
FORMÌHOLA: Formica.
FOTTIO: Praticamente senza fine. “Ce n’era un fottio!”, Ce n’erano tantissimi! Ved. “Iosa”.
FRAZIO: Puzzo, mal odore.
FREGASSENE: “Chi se ne frega!”, Chi se ne importa! “Me ne frego!”, Non me ne potrebbe importare di meno. Ved. “Sbàttissene”
FRIGNONE: Bambino che piange facilmente per qualsiasi cosa. “Via, su, ‘un-ffà’ i’ frignone”, Dai, smettila di piangere.
FRINZELLO: Capo d’abbigliamento ridotto male, “Codesto gorfe gl’è tutt’un frinzello”, Quel golf è tutto una piega.
FRUFFRÙ: 1) Wafer. Il nome attribuito al biscotto è, senza dubbio, onomatopeico. 2) Omosessuale. “Quello lì gl’è un po’ fruffrù”, Quello lì è omosessuale.
FRULLARE: Girare o far girare intorno a un asse. “Ci son’ gli ultimi biglietti, poi si frulla la rota!”, Questi sono gli ultimi biglietti, poi si gira la ruota.
FURIA: Sinonimo di fretta. “Via, o che ti m’o’i c’ho furia”, Vedi di sbrigarti perché ho molta fretta.

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